Regia di Robert Eggers vedi scheda film
Un biglietto da visita prestigioso e seducente è un lusso che in pochi possono permettersi, ma è contemporaneamente anche una lama a doppio taglio. Infatti, se da un lato sono a portata di mano delle opportunità che i comuni mortali non osano nemmeno ipotizzare/sfiorare, dall’altro le aspettative si alzano in maniera esponenziale/immediata e si finisce inevitabilmente per stazionare sotto la lente d’ingrandimento di chi osserva. Per non parlare poi dei vari metri di giudizio che, soprattutto nei casi di soggetti ripresi/riproposti più volte in precedenza, finiscono per assegnare un ampio risalto a una variegata quantità di comparazioni ingombranti, talvolta anche insostenibili e parzialmente ingiuste.
Tutto questo avviene con il Nosferatu di Robert Eggers, un giovane (oggi a quarant’anni sei ancora considerato così) regista che con soli tre film all’attivo ha già fatto breccia nel cuore dei cinefili e della critica. Atteso fin da quando la notizia della sua realizzazione era in fieri, deve fare i conti con i suoi illustri predecessori, con opere immortali come sono indubitabilmente gli omonimi film diretti da Friedrich Willhelm Murnau e da Werner Herzog, senza trascurare gli stessi precedenti dell’autore statunitense, che avevano denotato una peculiare e originale cifra stilistica. Detto che parliamo di un titolo, febbricitante e sensoriale, approntato con smaccata maestria e che l’accoglienza vede gli entusiasti in netta maggioranza, in entrambi i frangenti poc’anzi esposti vengono a galla diverse perplessità su cui varrebbe la pena riflettere.
Wisborg, in Germania nel 1838. Thomas Hutter (Nicholas Hoult – Giurato numero 2, Warm bodies), un agente immobiliare che vuole farsi strada, accetta di buon grado l’incarico di recarsi in Transilvania per far firmare i documenti per l’acquisto di un’antica dimora al Conte Orlok (Bill Skarsgard – It, Il corvo).
Ci metterà poco per capire di essere finito in una situazione terribile e che la sua stessa moglie Ellen (Lily- Rose Depp – The idol, L’uomo fedele), da anni assediata da incubi orribili, è in estremo pericolo.
Per il rotto della cuffia, riuscirà a rientrare a Wisborg, cercando un supporto in prima battuta nel dottor Wilhelm Sievers (Ralph Ineson – The Witch), che mantiene un approccio razionale, e poco dopo nel professor Albin Eberhart Von Franz (Willem Dafoe – L’ultima tentazione di Cristo, Mississippi Burning), l’unico in grado di fronteggiare una forza furiosa che travalica i confini della ragione.
Mentre l’attrazione primordiale tra Ellen e Orlok diventa sempre più intensa, per tutti gli interessati il pericolo si fa sempre più incombente, comprendendo anche Friedrich Harding (Aaron Taylor-Johnson – Bullet train, Le belve) e sua moglie Anna (Emma Corrin – The Crown, My policeman), una coppia vicina agli Hutter.
Per cercare di fermare Orlok, sarà necessario ricorrere ad azioni fuori dalla comune percezione e a costosi sacrifici.
Dopo le streghe (The Witch) e i vichinghi (The Northman), per Robert Eggers arriva il momento di confrontarsi con il succhiasangue più popolare di tutti i tempi. Forte di un budget stimato nell’ordine dei 50 milioni di dollari e già premiato dal botteghino internazionale (la Universal Pictures può tirare un – non del tutto scontato - sospiro di sollievo), al suo primo – e grande - passo nel panorama mainstream, riprende e mescola il materiale esposto da chi lo ha anticipato (oltre ai già citati, vedasi anche il traboccante Dracula di Francis Ford Coppola), mettendoci anche farina del suo sacco (altrimenti non avrebbe avuto senso), sia per quanto riguarda lo stile, sia per alcune tematiche di appoggio.
Quindi, se la vicenda è arcinota (un limite intrinseco che avrebbe dovuto trasformarsi in forza propulsiva), ritroviamo una coesione estetica che si cementifica nella pregevole scelta degli scenari e in svariati singoli dettagli, così come un allargamento delle vedute, con l’intenzione di misurarsi con il presente, con le sue incertezze (la peste che dilaga), i suoi malesseri e altrettante incomprensioni, prestando attenzione al ruolo della donna, che condivide il baricentro, e a una visione borghese che appone etichette semplicistiche e – a volte – erronee/controproducenti.
Contestualmente, Robert Eggers contiene la sua usuale vena estroversa/eccentrica (solo Willem Dafoe pare più volte sul punto di fare un passo in più, di esondare), assai presente in The Northman e in The Lighthouse, e in egual modo riduce i rischi, finendo – in modo parziale – vittima di deleterie correnti di dispersione (alcune note di corredo stonano, non funzionano per nulla, vedasi il personaggio assegnato ad Aaron Taylor-Johnson), con una processione funebre che, tra suggestioni evidenti e pulsazioni spasmodiche, sembra guardare costantemente oltre, pensando più che altro a non sbagliare il passo successivo.
In aggiunta, oltre a essere sottoposto a una cassa di risonanza che limita la libertà di movimento, troppi dialoghi paiono svuotati/pleonastici e alcuni assist vengono vanificati o liquidati senza sfruttarli nella pienezza del loro potenziale (su tutte, nell’accoppiamento che segna il finale si poteva/doveva trascinare in una proiezione prolungata, trasfigurata e agghiacciante), facendo sì che il film risulti accurato ma anche stilato/processato/codificato con il freno a mano tirato, soprattutto quando arriva sul più bello, nelle scene chiave che avrebbero dovuto cambiare le carte in tavola.
Per ultimo, il cast fornisce risposte mediamente all’altezza, per quanto - anche in questo caso - i confronti con i trascorsi illustri non spingono in alto gli entusiasmi. Willem Dafoe conferma di avere nelle corde una marcia in più, mentre Lily-Rose Depp ce la mette tutta (anche qui, l’ambiguità del suo personaggio non è certo cavalcata fino ai meandri della follia), Nicholas Hoult dona un apprezzabile trasporto scenico ed Emma Corrin timbra il cartellino, confermandosi una delle attrici in rampa di lancio da seguire con maggiore attenzione.
In conclusione, Nosferatu mantiene il fiato – e qualcosa d’altro – sul collo ma non lascia un segno indelebile. Viaggia a vele spiegate, eppure ha pochi assi nella manica, per giunta riscontrabili perlopiù nella prima parte (la trasferta sui Carpazi è – a tratti – magnifica) nonostante la ricchezza d’impulsi sia dispiegata ovunque, ha un look da primo della classe tuttavia questo aspetto favorevole fatica a ergersi a fattore determinante, vanta una stretta mortale ma anche bruschi risvegli, mette in mostra credenziali di alto lignaggio (su tutte, quelle ascrivibili alla fotografia di Jarin Blaschke, fedelissimo collaboratore del cineasta e impegnato in film come Bussano alla porta, e alle musiche - dal forte e adeguato impatto - di Robin Carolan), ma poi poco materiale di questo ricco database rimane effettivamente impresso nella memoria.
Minuzioso e ingessato, tenebroso e – in alcuni casi – ingiustificatamente sbrigativo, fluttuante e disperato, per un banco di prova che rimanda il giudizio su Robert Eggers alla prossima grande occasione, che sicuramente avrà a disposizione.
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