Regia di Peter Docter vedi scheda film
Racconto ora dolce ora spietato; mostri che gridano per lavoro e per paura; commedia fantasy tinta di provocazione e realizzata secondo gli strumenti digitali allora più avanzati.
Il primo lungometraggio co-diretto da Docter è una commedia spassosa con retroscena dolceamari confronto la realtà (quella nostra) che vuole analizzare. Come tanti film Pixar, Monsters & Co. non è soltanto un film acuto e interessante grazie ad una sceneggiatura magistrale nella scrittura dei dialoghi e a dei personaggi che sono tutti, dai protagonisti ai personaggi di contorno, caratterizzati in maniera sublime, ma è anche portavoce di una critica sociale diretta e molto ben contestualizzata. Dopo Toy Story (1995), Monsters & Co. mette in scena un'altra fantasia infantile distorta dagli autori della Pixar per inserirla in un quadro concettuale più riflessivo, non per forza per adulti, bensì comunque a perfetta misura di bambino.
Assieme ad Inside Out (2015), mi piace definire questa come l'opera più "pedagogica" della Pixar. Il film diretto nel 2001 da Pete Docter, Lee Unkrich (Toy Story 3) e David Silverman (Simpsons: Il Film) esprime la sublimazione artistica di tanti dei cliché che accompagnano l'infanzia (la paura del buio, il mostro sotto il letto), i quali nel lungometraggio vengono rappresentati come l'alterazione di tutta la realtà fantasmatica - e delle teorie psicoanalitiche ad essa associata - che viene da sempre normale immaginarsi. Qui, infatti, sono soprattutto i mostri che sono terrorizzati a morte dai bambini. Oltre a questo, dagli spaventi che i mostri riescono a guadagnare con fatica, cercando di non essere toccati dai fanciulli per non finire contaminati, viene prodotta l'energia con cui l'intero mondo alternativo può continuare ad esistere in pace e tranquillità. Un mondo che ovviamente è governato prima di tutto dal denaro, in cui i potenti si arricchiscono senza scrupoli e l'arrivismo porta certi individui a diventare ostili e senza un briciolo di dignità.
La regia è frenetica, il ritmo è spedito e senza fiato dall'inizio alla fine e le atmosfere leggere ma coinvolgenti avvolgono il film che, soprattutto tecnicamente, nel 2001 porta i Pixar Animation Studios ad un nuovo livello qualitativo. Il rendimento complessivo della grafica computerizzata è all'avanguardia per l'epoca: la fotografia rimane sempre lucida e un po' patinata ma riesce bene ad esaltare le forsennate variazioni cromatiche che caratterizzano l'antagonista Randal (mostro camaleonte) e le decine di setting che, soprattutto nelle sequenze più riuscite del lungometraggio (l'inseguimento finale tra le porte nel deposito), cambiano in maniera quasi convulsa ma estremamente riuscita grazie ad un montaggio straordinario; il sistema di grooming impiegato per realizzare il pelo di Sully è quanto di più preciso si potesse raggiungere ad inizio anni Duemila; per la prima volta i personaggi creati dalla Pixar non risultano finti, di plastica, giocattoli, bensì rimandano allo spettatore la piena sensazione di star osservando creature che si muovono perché vive, non perché animate al computer; le uniche parti del corpo non realistiche risultano gli occhi, ancora visivamente delle palle di vetro lucido colorate (ma a rimediare a questo ci penserà Alla Ricerca di Nemo nel 2003). La casa di produzione di John Lasseter, dunque, continua a migliorare sensibilmente le potenzialità della grafica al computer nel campo dell'animazione cinematografica.
Film inserito nei capolavori della storia del cinema animato. (come capo d'opera)
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