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Io vivo altrove!

Regia di Giuseppe Battiston vedi scheda film

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La recensione su Io vivo altrove!

di mck
7 stelle

Come si starebbe bene in campagna!

 

Io Vivo Altrove!”, ispirata (d)al postumo (1881) “Bouvard et Pécuchet” di Gustave Flaubert [ossimorico-dicotomico rispetto tanto a “el Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha” (1605-‘15) di Miguel de Cervantes quanto al “Candide, ou l’Optimisme” (1759) di Voltaire], l’opera prima di Giuseppe "Bouvard" Battiston dietro alla macchina da presa (e "gemellare" per indole a “il Regno” di Francesco Fanuele con Stefano Fresi: i due attori "separati alla nascita" hanno recitato assieme un’unica volta, ne “il Grande Passo”), da lui scritta, con Marco Pettenello (che, dopo aver esordito co-sceneggiando gli ultimi lavori di Carlo Mazzacurati, ha non a caso collaborato a stendere i copioni di tre film “compaesani” - e non solo per i luoghi ospitanti questa produzione italo-slovena, ma per l’aria tutta che vi si respira - a questo, vale a dire, per Matteo Oleotto, “Zoran, il Mio Nipote Scemo”, e, per Antonio Padovan, “Finché c’è Prosecco c’è Speranza” e il già citato “il Grande Passo”, oltre agli ultimi due di Gianni Di Gregorio, “Lontano, Lontano” e “Astolfo”), e interpretata, con un altro attore & regista quale co-protagonista, Rolando "Pécuchet" Ravello (“la Prima Pietra”), con Teco Celio e Diane Fleri - che in un certo qual modo interpretano (bene) le loro maschere di sempre - in ruoli secondari [ad esempio quest’ultima infatti pare un po’ troppo transitivamente fossilizzata, quindi senza il suffisso “-si”, nel ruolo (congenito) della “francese”: se fosse stata inquadrata con un “È forestiera: è di Froppole!” magari il suo ruolo/carattere avrebbe colpito maggiormente] e con Roberto Citran per un cameo, è davvero un piccolo studio (e non per forza un elogio), per dirla con Julian Barnes, “del dilettantismo ossessivo e dell’erudizione inutile e maldestra”: l’in-Fausto ereditiero legge e cita Henry David Thoreau [“Vorrei spendere una parola in favore della Natura, dell'assoluta libertà e dello stato selvaggio, contrapposti a una libertà e a una cultura puramente civili; vorrei considerare l'uomo come abitatore della Natura, come sua parte integrante, e non come membro della società. Desidero fare un'affermazione estrema, e per questo sarò enfatico…”, dall’incipit di “Walking” (Camminare), una conferenza tenuta per la prima volta nel 1851], ma – a parte il fatto extra-diegetico (iperrealismo kubrickiano dell’errore consapevole?! Ehm: no, o per lo meno anche meno, eh…) che quella che tiene in mano è una copia dell’edizione Lindau di “HuckleBerries” (Mirtilli, o l’Importanza delle Piccole Cose) – non lo capisce/comprende né lo mette in atto perché raccoglie bacche acerbe, confonde il luppolo con (forse) la vitalba con disastrosamente apocalittiche conseguenze tragicomiche (tipo la leggendaria emesi diarroica degli appartenenti a quel circolo di pescatori di Gubbio che a fine ottobre dell’anno scorso tentarono con coraggiosa mossa dadaista di oscurare l’insediamento del Governo Meloni, ovvero: quando il Fatto Quotidiano serve a qualcosa bisogna ammetterlo) e si lascia infinocchiare da quella schifezza esoterica della biodinamica steineriana (e a tal proposito su di essa non mi dilungo, qui, perché ho già bestemmiato, a suo tempo, qua: “Cornuti - una Omelia Contadina”), e anche la fotografia dell’esperto Duccio Cimatti (Scimeca, De Matteo e lo stesso “il Grande Passo”), qui in versione Duccio Patanè, è naturalisticamente smarmellante, a principiare dai titoli di testa sovraespost’in controluce da dietro una finestra sporca con vista s’una di(o)ramazione secondaria del GRA, mentre il montaggio è di Giuseppe Trepiccione (il già citato “Zoran, il Mio Nipote Scemo” e “la Terra dei Figli”), le musiche sono dell’ozpetekiano (“Napoli Velata”, “la Dea Fortuna”) Pasquale Catalano e il finale, se pur non quiescente, svirgola però ben oltre il melenso (ma è Pic-Indolor, e non veicola eroina, bensì "solo" soluzione zuccherina/glucosata). 

 

Io vivo altrove! (2023): Trailer ufficiale

 

"Le carte geografiche non ne parlavano. Del resto, fosse la loro casa in un paese o in un altro, l'importante era che ne avessero una." - Gustave Falubert, "Bouvard et Pécuchet", 1881.

 

* * * (¼) - 6.375 

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