Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film
Lo sport come metafora, il campo da gioco è il luogo in cui si vivono e si consuamno le relazioni, amori e amicizie, dove il tempo rallenta, il piacere viene prolungato e l'orgasmo gridato. Zendaya perde il suo spazio sul campo e cresce come una donna insoddisfatta e frustrata, incapace di legarsi a qualcuno e per questo destinata a fare da spettatrice sugli spalti di un palazzetto.
Narrativamente abbastanza lineare nonostante i rimbalzi temporali, ha dalla sua parte tutta la verve creativa di Guadagnino specialmente nel posizionare la macchina da presa rispetto ai corpi in scena (in tal senso: la scena di dialogo tra Tashi e Patrick nel vicolo di Atlanta, spalla al muro, con quello scorcio di sole che lo illumina e l'inquadratura sghemba dal basso sui volti, bellissima).
Manca però una soggettiva dei singoli protagonisti, dei momenti in cui trovarli ripiegati su sé stessi, una prospettiva privata, un dialogo interiore che li renda più profondi, tridimensionali ed emotivamente vicini al pubblico. I personaggi vivono incessantemente in una threesome e nel pubblico, le personalità vengono delineate attraverso il dialogo tra le parti, ed è una scelta che limita il film, probabilmente non concettualmente ma, per quanto mi riguarda, emotivamente sì.
Fichissimo il tappeto sonoro elettronico costruito da Reznor e Ross che dona un dinamismo mostruoso alle triangolazioni di dialogo alla stregua dei match di tennis.
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