Regia di Antonio Albanese vedi scheda film
Con gli infausti tempi che corrono, nessuno può più permettersi di dormire sonni tranquilli. Neanche chi ha già completato buona parte del suo percorso di essere umano, chi ne ha viste e affrontate tante, riuscendo sempre a uscirne integro o – mal che andasse - con ammaccature curabili. Anzi, oggigiorno soprattutto la vecchia guardia corre i rischi maggiori, per via di quelle abitudini consolidate che ormai risultano totalmente inadeguate per reggere l’urto di avvenimenti fuori controllo, che si manifestano senza venir anticipati da nessun preavviso.
Insomma, partendo dai macro eventi e arrivando fino agli smottamenti locali, navighiamo in pessime acque, nelle quali in un battibaleno a chiunque può capitare di risvegliarsi in un incubo, ritrovandosi – sbigottito e costernato - negli sventurati e indesiderati panni della vittima.
Antonio (Antonio Albanese – La fame e la sete, La seconda notte di nozze) è un ex operaio in prepensionamento, che vive in un piccolo paese dove tutti si conoscono, trascorrendo la sue giornate prendendosi cura dell’anziana madre (Giulia Lazzarini – Mia madre, The place), chiacchierando con i suoi amici di vecchia data, mantenendo un buon rapporto con la ex moglie Margherita (Sandra Ceccarelli – Luce dei miei occhi, Il più bel giorno della mia vita), coltivando una relazione segreta con una donna sposata e destinando tutte le attenzioni possibili alla sua adorata figlia Emilia (Liliana Bottone - Grazie ragazzi, Nata per te).
Quando quest’ultima gli comunica di volersi sposare, Antonio decide di sobbarcarsi tutte le spese, facendo conto sui risparmi sudati che ha accantonato durante tanti anni di lavoro.
Purtroppo per lui, quando si reca in banca si accorge che qualcosa non torna, che la sua situazione finanziaria non è affatto quella che si aspettava di trovare. Nel giro di pochi giorni, scoprirà di essere finito in un tunnel senza uscita, di essersi fidato delle persone sbagliate, di non poter onorare le promesse fatte.
Nonostante le offerte di aiuto ricevute da parte di chi lo conosce, Antonio non si dà pace, incapace di concepire come tutto questo possa essere accaduto e soprattutto tacitamente accettato/consentito dalla Legge.
Scritto (insieme a Piero Guerrera – Qualunquemente, Tutto tutto niente niente), diretto (a cinque anni di distanza da Contromano) e interpretato da Antonio Albanese, Cento domeniche è un film drammatico lineare e tutto d’un pezzo, che imbocca un preciso senso di percorrenza senza lasciare al caso nemmeno la più piccola delle varie molecole che lo compongono.
Ancorato nella provincia, definisce una parabola partecipativa e scorrevole che prende il via da una situazione di tranquillità e condivisione, nella quale emergono le doti da commediografo del suo autore (lasciando comunque in disparte la vena comica di film come Uomo d’acqua dolce o Come un gatto in tangenziale), per poi sprofondare gradualmente in un dramma sempre più cupo, degradante e scoraggiante, in un calvario che uccide la dignità individuale.
Attraverso una disamina rispettosa e amareggiata, che non incappa in alcun tipo di scorciatoia, entra nella carne viva di un tessuto sociale fatto di fatica e sacrifici, descrivendo comportamenti comuni e contraccolpi irreversibili, obliterando una testimonianza dalla ragguardevole immediatezza, che rammenta le tante ingiustizie che hanno rovinato/distrutto persone con l’unica colpa di essere state ingenue. Vittime inconsapevoli di rovesci del destino, di tiri mancini che stendono anche chi ha tirato la carretta per tutta la vita, tra false rassicurazioni e nessuna risposta esaustiva, con umiliazioni insopportabili e fratture scomposte che spingono all’auto isolamento e nel vortice della disperazione.
Facendo ricorso anche a esperienze personali, come quella da tornitore, Antonio Albanese dà del tu al contesto con strenua disinvoltura e adotta un tono assolutamente consono ai temi delicati che tratta. Come regista si rifà al cinema europeo votato all’impegno (per rimanere in tempi recenti, vedasi Sorry we missed you e Io, Daniel Blake di Ken Loach), mentre come attore (qui accostabile a L’intrepido e a Giorni e nuvole) copre un arco decisamente ampio, passando dalla battuta pronta a un contegno inossidabile/ammirevole, approdando infine a uno sconforto cronico e inguaribile.
In conclusione, Cento domeniche è un film fortemente voluto e, come tale, mosso da motivazioni sincere. Con umiltà e onestà intellettuale, allestisce un percorso netto e scandito nitidamente, che guarda negli occhi una mesta realtà fatta di sogni infranti e processa le rigidità di un sistema che ha da tempo terminato le scialuppe di salvataggio, stando dalla parte delle ultime ruote del carro, quelle che rimangono con il cerino in mano beccandosi tutta la colata di melma scagliata dai piani alti, accarezzando il territorio, con il suo senso di appartenenza e di coesione, quei gesti di affetto e solidarietà che stanno purtroppo diventando merce rara.
Puntuale e generoso, aderente e sentito, dedicato a chi ha perso tutto con la sola colpa di essersi affidato ai consigli sbagliati.
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