Un grande Antonio Albanese si immedesima alla perfezione nel protagonista, rifugge dalla retorica radical chic tipica dell'attuale cinema italiano e dà una strepitosa prova d'attore.
Che però fosse così in grado di esprimerle con forza, sfuggendo dai concept tipici dei prodotti radical chic all'italiana (intendendo come "radical chic" quei registi e autori che provano a parlare di certe tematiche quando in realtà vivono in una loro bolla, senza capire mai realmente le dinamiche da "vita vera" e quindi fallendo totalmente anche nella trasposizione di essa) era tutt'altro che scontato. Ebbene, in "Cento domeniche" ne esce fuori un Albanese impressionante: non perfetto, ma davvero notevole, in particolare nel grigissimo e falsissimo panorama del cinema italiano attuale.
Il fatto che questo tatto e questa sensibilità arrivi poi da quello che è uno dei grandi talenti comici italiani in attività risulta ancora più impressionante: ma che Albanese fosse un attore vero, con la A maiuscola, anche in contesti totalmente seri, lo avevamo appurato soprattutto ne "
L'intrepido". Oggi però si ha una conferma pesante: almeno a livello soggettivo, Antonio Albanese è l'attore numero 1 nel panorama attuale italiano.
Davvero strepitoso il tatto con cui riesce a immergersi in una storia del genere, aiutato comunque da uno script che regge, che è sensibile al tema dei raggiri bancari, che (come detto) non cade nei luoghi comuni e nella retorica del cinema italiano attuale, che permette di riconoscere senza nessun problema il protagonista come un essere reale, esistente, che può essere ognuno di noi o ogni persona che ci è attorno: l'Antonio protagonista del film (un Albanese sostanzialmente sempre in scena) non è una caratterizzazione triste e poco attendibile come centinaia di altre viste recentemente nel cinema italiano, è tangibile e riconoscibile. Proprio per questo il film fa più "male", arrivando a lungo andare a colpire come un pugno allo stomaco.
E Albanese è sensazionale nella sua espressività, riportandoci con una recitazione senza eccessi la vera essenza di un uomo tranquillo caduto in una spirale devastante di disperazione: il viso che via via si fa sempre più tramutato e corrucciato, le occhiaie a lungo andare sempre più marcate, la devastazione dovuta ai sempre più forti attacchi d'ansia, con conseguente mano tremante e ogni segnale tipico del soggetto in pesante stato ansioso. Sembra chiarissimo che dietro questo film ci sia uno studio della realtà, un riuscire a comprendere il come si senta una persona "vera" di fronte a queste situazioni. E poi c'è il tatto di uno splendido attore nel saper vestire questi panni e riuscire a rivedersi nel protagonista. Bravissimo.
Non è un film perfetto, probabilmente il tono dimesso dell'intera messa in scena può non appassionare qualche spettatore, sicuramente la regia poteva avere qualche trovata maggiore. Ma il film funziona. Ed è cinema sociale come purtroppo non se ne vede più da tanto, troppo tempo. Un film che va crescendo via via in parallelo alla disperazione di Antonio. Fino al finale forse non del tutto imprevisto, ma forte. Come un pugno allo stomaco.
Voto: 8
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