Regia di Brad Bird vedi scheda film
Ti prende l'anima, la stritola come fosse uno straccio inzuppato e la stende poi davanti ad un sole immensamente carico di luce. Un vero e proprio capo d'opera!
Quante emozioni si possono provare guardando un film? Tenerezza, rabbia, allegria, nostalgia, ansia, stupore. "Il gigante di ferro" di Brad Bird - tratto dal romanzo "L'uomo di ferro" di Ted Hughes, 1968 - le racchiude tutte in ottanta minuti di visione, alternandole in una trama tanto stimolante quanto intensa, concettualmente corposa ed incisiva. Un racconto di formazione denso di riflessioni verso la moralità, la paura dell'ignoto, la superficialità, l'apparenza, la guerra e le armi, l'amicizia e la responsabilità.
I personaggi rasentano la perfezione; ognuno di loro incorpora un'idea di pensiero, un'idea di uomo diversa. Dall'esempio espresso da Kent Mansley di persona chiusa, impaurita, penosa e avventata, a quello espresso dal protagonista Hogarth Hughes di mente aperta, curiosa, determinata ad andare oltre, ad indagare sul perché e sulla natura delle cose. Due poli opposti che per tutto il lungometraggio si scontrano fino a distruggere quella che, alla fine, risulta essere solamente una vittima delle proprie capacità distruttive. Sicuramente tutto fuorché un mostro è il robot, un bambino metallico di trenta metri, ingenuo e facilmente impressionabile, di una acutissima sensibilità.
"Il gigante di ferro" è un capolavoro?
Dal punto di vista della sceneggiatura senza dubbio!
E' quanto di più vicino alla poetica miyazakiana abbia mai prodotto l'animazione occidentale; una storia che non si limita ai rapporti umani, nonché a quelli uomo-robot, ma implementa la narrazione inserendo anche chiare motivazioni storiche a tutto ciò che accade. L'opera di Bird è, infatti, ambientata nel 1957 nel Maine, Stato nord-orientale degli Stati Uniti d'America. Alché la Guerra Fredda diviene il mezzo per contestualizzare tutta la struttura delle circostanze, le paure dei personaggi, le situazioni di allarme così caotiche e decisamente poco ponderate dichiarate da militari e agenti governativi. Un ragazzino, sua madre, un neonato ingombrante e un proprietario "caffeinomane" di uno sfascia-carrozze contro un'intera Nazione, una Nazione che vede una minaccia esistente solo se spaventata e spinta al limite della sopportazione.
Nella scena più importante dell'intero film viene affrontato il tema della morte. Un cervo ucciso non è solo un vile atto di "caccia sportiva" ma, visto dal gigante, lo spegnere una vita - che poi spiegherà Hogarth essere solamente un momento d'attesa per l'anima - viene recepito come un crimine universale. Che diritto hai di uccidere e, se effettivamente tu ce lo avessi, chi te lo ha dato? Perché bisogna sopprimere una qualsiasi creatura? A che scopo? Non c'è ragione che tenga se bisogna giustificare un assassinio. Il gigante, che è stato creato per sterminare, inconsciamente, da quel momento denigra il suo scopo primario. Ormai la fortissima scossa elettrica ricevuta ad inizio pellicola non può bastare per dare risposta sui suoi comportamenti così infantili e pacifici. Qualcosa, un'emozione, lo ha cambiato per sempre. Hogarth ne è il responsabile. Hogarth è suo padre e il suo maestro di vita. Ormai il gigante è pronto a vivere, e nemmeno una bomba atomica potrà fermarlo!
Film inserito nei capolavori della storia del cinema animato. (come capo d'opera)
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