Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Il topastro è il simbolo dell'evidenza.
Premesso che ho sempre confuso Leto e Paul Atreides (e gli Harkonnen e Arrakis) con Atreyu della Storia Infinita, e i vermi delle sabbie di Dune col sarlacc di Tatooine nel Ritorno dello Jedi (Frank Herbert e Michael Ende sono innocenti, la colpa è di David Lynch & Dino De Laurentiis, di George Lucas, Lawrence Kasdan & Richard Marquand e di Wolfgang Petersen), ma però (cit.) so distinguere bene fra Lawrence d’Arabia e Tremors, questo “Dune: Part One”…
{ch’è il secondo (e consecutivo) remake [o, meglio, restart, essendo un'altra versione del romanzo (saga) di Frank Herbert, ma che oggettivamente non può non fare i conti con i lacerti delaurentiisiani di David Lynch e col sogno di una vita di Alejandro Jodorowsky] della carriera dell'autore, dopo “Blade Runner 2049”}
…è ciò che dice il titolo e secondo tale assunto va giudicato: una prima parte introduttivo-esplicativa, nella quale il Kwisatz Haderach (Homo sapiens elohim), poi la TerraFormazione (un po’ più lenta di quella divampante in “Total Recall” di Paul Verhoeven, Dan O’Bannon e, da codesto PdV, ben poco P.K.Dick) e persino, in minima parte, il Jihad Butleriano (e soprattutto, sul finale, la Crociata Fremen in nome dell’ex Delfino di Caladan e futuro Messia di Dune) trovano lo spazio per essere tanto ri-assimilati dallo spettatore scafato (fan/esegeta) quanto compresi da quello ignaro dell’universo che sta affrontando, e una seconda che si esaurisce nel raggiungere in pieno l’obbiettivo preposto, ovvero quello di portare a termine il compito di agganciare e accompagnare entrambe le tipologie di pubblico summenzionate (e pure il duello sull’isola di roccia nell’oceano di rena ha una propria forza, anche grazie a Babs Olusanmokun, la cui prestazione è sfruttata al meglio dal regista) verso… “Dune: Part Two” (nonostante Timoteo Cialacoso che, sinceramente, pur rispettando il canone herbertiano che lo descrive come “piccolo per la sua età”, a prescindere ha il phisique du role di uno che piglia calci pure dal cangur-topo-gerboa-fennec che beve dalle orecchie) lasciandole in (moderata, ma incontrovertibile) attesa.
In somma: un film “paradossalmente” compiuto (e a tratti emozionante) nella sua incompiutezza.
Gran bella prova di Rebecca Ferguson, col gran cast completato da Oscar Isaac, Jason Momoa, Josh Brolin, Zendaya (suo è il PdV del Narratore Nativo), Stellan Skarsgård, Dave Bautista, Stephen McKinley Henderson, Sharon Duncan-Brewster, Chang Chen, Charlotte Rampling, Benjamin Clémentine…
Fotografia di Greig Fraser (“Bright Star”, “Zero Dark Thirty”, “Rogue One”), montaggio di Joe Walker (sodale di Steve McQueen, oltre che del regista di "Prisoners" e "Sicario", ed in mezzo “BlackHat”) e musiche di Hans Zimmer. Produce Legendary e distribuisce Warner. Da evidenziare l'ottima resa delle semi-aprocte astronavi-spazioporti-wormhole a "motore" speziato, con il di volta in volta differente sistema solare di partenza che s’intravede dall’... altra parte.
Quello di Denis Villeneuve [che qui ritorna a (co)sceneggiare personalmente una propria opera - in questo caso con Jon Spaihts (“Prometheus”) ed Eric Roth (“Forrest Gump”, “the PostMan”, “the Insider”, “Ali”, “Munich”, “Luck” e il prossimo Scorsese di “Killers of the Flower Moon”) - dai tempi di “Incendies”, che col precedente “Polytecnique” ed il successivo “Enemy” rimane il suo film migliore] è probabilmente uno dei più giusti approcci attraverso cui affrontare la reimmaginazione dell’universo (cinematografico e letterario) di “Dune”, dimostrandolo sin da subito, ovvero prima dei titoli di testa, con l’utilizzo di un brevissimo inserto esclusivamente sonoro (debitore del gran lavoro svolto per gli eptapodi in “Arrival”).
Se risulta accettabile anche il pippone trascendentale (“Il mistero della vita non è un problema da risolvere, ma una realtà da sperimentare. Un processo che non si può comprendere arrestandolo. Dobbiamo seguire il flusso del processo, unirci a esso, fluire con esso!”) con parallela & conseguente scena del “Guarda mamma! So guidare l’ornitottero senza mani!”, beh, allora si può dire che Villeneuve ha fallito meno di Lynch, che a sua volta però ha fallito meglio (o viceversa), in attesa di attraversare un portale spazio-temporale strafatti di spezia e godersi pure il “Dune” di Jodorowsky.
Il topastro è il simbolo dell'evidenza.
* * * ¾ - 7½
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