Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Secondo me un grande film. Sì, a volte calco la mano nella seguente mia recensione ma più passa il tempo e più questo film mi cresce dentro. Grandioso, maestoso, epico, sensazionale, prodigioso, oserei dire principesco e gigantesco.
Ebbene, presentato in pompa magna, con tanto d’interminabile e fastoso red carpet maestoso, nella sezione Fuori Concorso alla 78.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è finalmente uscito nelle sale nostre italiane, precisamente nel giorno di giovedì 16 settembre dell’anno ovviamente corrente, il magniloquente ma forse non del tutto appagante colossal Dune, firmato da Denis Villeneuve (Blade Runner 2049).
Dune, opera titanica dal budget faraonico, avvalsasi di costosissimi effetti speciali avanguardistici dei più sofisticati, è certamente fra le pellicole più attese dell’anno.
Dune è stato, in linea generale, favorevolmente accolto dall’intellighenzia critica mondiale, molta della quale presente alla succitata kermesse, potendo già vantare, difatti, un’onorevole e prestigiosa media recensoria, equivalente cioè al 75% di opinioni largamente positive, riscontrata sul sito aggregatore metacritic.com. Ciononostante, Dune, sebbene sia stato lusingato da molti critici, diciamo così, ha altresì scontentato molti altri. E ciò, per l’appunto, è comunque ravvisabile dalla media sopra dettavi che, malgrado sia piuttosto alta e soddisfacente, allo stesso tempo non corrisponde per niente a quelle che erano le previste e iniziali aspettative, possibilmente ancora più rosee e perciò maggiormente ottimistiche. Vale a dire che il Dune di Villeneuve è piaciuto molto ma non così tanto, potremmo dire, da non spaccare già parzialmente il pubblico e la stessa Critica. Così come, d’altronde, già avvenuto con tutte le precedenti opera di Villeneuve. Acclamate, sì, ma anche guardate dubbiosamente da molti suoi detrattori. I quali forse non hanno però tutti i torti...
Ebbene, dopo l’altrettanto controverso, rimaneggiato, sforbiciato, tanto amato quanto detestato Dune di David Lynch, Villeneuve si cimenta col suo dispendioso e iper-ambizioso adattamento dell’omonimo, celeberrimo romanzo di matrice science-fiction di Frank Herbert. Sceneggiandolo assieme al veterano Eric Roth (premio Oscar per Forrest Gump, autore di Munich e della ventura opus di Martin Scorsese, ovvero Killers of the Flower Moon), in collaborazione col writer di Doctor Strange, Prometheus e Passengers, ossia John Spaihts.
Film della consistente e potente durata di 155 minuti, ricalcando abbastanza fedelmente e sostanzialmente il suo materiale letterario d’origine, pur naturalmente con alcune inevitabili licenze poetiche e dovute modifiche e/o aggiunte fantasiose, Dune narra del percorso di formazione del duca Atreides (Timothée Chalamet) in quel di Arrakis, fittizio pianeta distante anni luce dal nostro del sistema solare e collocato, temporalmente, in un imprecisato futuro distopico. Paul Atreides, figlio e unico erede sanguignamente dinastico di suo padre, l’intrepido condottiero di nome Leto (Oscar Isaac), responsabilmente viene messo orgogliosamente da quest’ultimo a capo nientepopodimeno che della gestione dell’l’intero pianeta sopra dettovi. La sostanza specialissima più ricercata su questo pianeta sconfinato e desertico è una fantomatica spezia che dona fantasmagorici poteri illimitati, perfino sovrannaturali, a chi ne entra in possesso, fruendone poi gioiosamente e di comprensibile contentezza infinita. In quanto è in grado addirittura non soltanto di trasmettergli, per l’appunto, doti straordinarie, bensì anche di allungargli la vita smisuratamente, rendendolo dunque gagliardamente invincibile. Dunque, va da sé che chiunque voglia arraffare questa magica spezia prodigiosa e conseguentemente, strenuamente combattere contro tutti per sottrarla al prossimo suo poiché, così facendo, diverrebbe il padrone incontrastato e più autorevolmente temibile di Arrakis. Dettando ferocemente legge in maniera irreversibilmente, a sua volta, difficilmente combattibile.
Da qui s’originerà l’agguerritissima disfida fra l’esercito dei fedeli alla famiglia Atreides e i mostruosi rivali, gli Harkonnen, la dinastia opposta.
Su musiche pompose, non sempre efficaci, di Hans Zimmer e il magistrale montaggio di Joe Walker, sontuosamente fotografato da Greig Fraser (The Batman di Matt Reeves, Rogue One: A Star Wars Story), interpretato ottimamente in ogni rispettivo, singolo ruolo, oltre che dal già citato Chalamet, eterno padrone fotogenicamente e carismaticamente sorprendente di tutte le scene con lui protagonista, e dal sempre più magnetico Issac, da uno strabiliante cast eterogeneo e internazionalmente multietnico che consta delle portentose presenze robuste della bellissima Rebecca Ferguson (Mission: Impossible - Fallout), di Dave Bautista, di Josh Brolin (Sicario), Zendaya, Stellan Skarsgård, dell’immarcescibile Charlotte Rampling, di Javier Bardem e di Jason Momoa fra gli altri, Dune è un film visivamente mozzafiato che contiene, al suo interno, almeno due tre sequenze d’antologia d’innegabile, struggente e assai sentita forza emotiva davvero entusiasmante. Però, contemporaneamente e di contraltare, si perde spesso in lentezze soporifere non necessarie, si smarrisce in molte disgressioni narrative superflue, gratuitamente persino infantili e maldestramente scritte. Lasciando dunque, non poche volte, molto a desiderare.
Dune è cioè un fascinoso e mirabolante, anzi, stratosferico e gigantesco oggetto eccitante e impeccabile dal punto di vista prettamente formale ma fallisce parimenti sotto molti aspetti d’importanza primaria. Dunque, se è rilevante esteticamente, è altrettanto, pressoché inerte, emozionalmente parlando.
Se vogliamo giocare di facili metafore, Dune è un film ricolmo di primizie spettacolari davvero eccezionali e irresistibilmente gustose per il “palato” dei nostri occhi che, dinanzi a esso, ne rimangono abbacinati e meravigliosamente ipnotizzati, ma è anche asfitticamente e fastidiosamente desertico e privo d’una sua vera, ispirata scintilla vitale di natura cineastica davvero marcata e rigogliosa dallo sguardo autentico propriamente, personalmente puro e nitido.
Come se la visione fin troppo austera di Villeneuve, per l’appunto preoccupato più dell’apparente e appariscente, adamantina forma che da una sostanza omogeneamente organica, si sia lasciato avvinghiare e mangiare dalla sua esagerata, sofistica ricerca ostinata d’una perfezione immaginifica, eclatante a livello estetico ma poco accordata a un’anima cinematografica realmente sentita e ispirata.
Detto questo, Dune rimane un bel film. E a noi è parso addirittura più che un film di fantascienza, quasi un horror, soprattutto nelle scene di combattimento con un Momoa in forma strepitosa e mai così simpatico. Scene lugubri, ambientate perlopiù in sotterranei senza luce, spaventose e inquietanti oltre ogni dire.
Il finale di Dune lascia presagire un sequel. E, se gli incassi saranno esorbitanti, aspettiamocene presto l’annuncio.
di Stefano Falotico
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