Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Di “Dune”, ormai, sappiamo tutto. Da quando sono trapelate le prime indiscrezioni di una possibile nuova realise del regista canadese Denis Villeneuve gli articoli si sono moltiplicati in tutta la rete. Opera dello scrittore americano Frank Herbert che ne pubblicò un’edizione a puntate dal 1963 al 1965 sul pulp magazine "Analog", fu editata in un unico volume nel 1965. Seguirono altri 5 romanzi che oggi formano il cosidetto “Ciclo di Dune” che ebbe fine con la pubblicazione, nel 1985, del libro “La rifondazione di Dune”. Successivamente alla morte di Herbert, il figlio Brian trovò un dischetto miracoloso e qualche pagina di appunti del padre che gli consentirono di sviluppare, insieme allo scrittore Kevin J. Anderson, quello che doveva essere il settimo capitolo della saga. Negli appunti di Frank venivano esplicati i passaggi chiave della nuova storia che avrebbe chiarito ciò che era rimasto sospeso alla fine del sesto libro. La storia recente è composta, invece, da altri libri, scritti a quattro mani, dedicati all’universo fantascientifico creato da Frank Herbert, la cui paternità è, tuttavia, del figlio di Frank e di Anderson (quest'ultimo diventato consulente per Villenueve).
Tanta roba che il cinema e le piattaforme streaming potrebbero saccheggiare a man bassa per creare un impero cinematografico degno di "Star Wars" ma che giocoforza è legato alla narrativa del suo autore e alla complessità del suo sapere. Benché non ci sia stata, finora, una massiccia presenza della settima arte nel mondo fantascientifico di "Dune" i progetti non sono mancati. Il primo fu quello di Arthur P. Jacobs, produttore del "Pianeta delle scimmie". La morte improvvisa di Jacobs, in fase di pre-produzione, fece naufragare il tutto. Il più clamoroso è stato quello del regista cileno Alejandro Jodorowsky che provò a inventarsi il pianeta Arrakis negli anni ’70 insieme a grandi artisti dell’epoca. Il progetto fallì nonostante la mole di lavoro realizzato. Ci volevano troppi soldi e troppo tempo per far fronte alla capricciosa visionarietà di Jodorowsky. Il lascito del più famoso film mai realizzato è analizzato nel documentario uscito nei giorni scorsi al cinema “Jodorowksy’s Dune”. Dopo un iniziale interessamento di Ridley Scott, nel 1984 ci pensò David Lynch, su commissione per i De Laurentiis, a girare quella che è stata l’unica trasposizione cinematografica in oltre 50 anni dalla pubblicazione del romanzo. Il film visse una produzione estremamente travagliata, causa le ingerenze della produzione, ma il lavoro di Lynch, benché tagliato e rimaneggiato, è ancora oggi un cult che ha lasciato in eredità gli occhi azzurri di Linda Hunt, le epiche cavalcate dei vermi rambaldiani e la musica avvolgente dei Toto e di Brian Eno. Benché i fan di "Dune" e di David Lynch chiedano da 35 anni una director’s cut al regista e nonostante il fallimento commerciale e di critica, la trasposizione del 1984 ha costituito un passaggio importante nella storia del romanzo tanto da rendere leggendario anche il giudizio negativo di Jodorowsky.
Successivamente, nel 2000, fu la televisione ad occuparsi di Paul Atreides. Uscì una miniserie televisiva dedicata al primo romanzo (Dune – Il destino dell’universo), ed una seconda, dedicata al capitolo terzo della saga letteraria (I figli di Dune), venne programmata nel 2003. Il resto è storia recente. Warner ha postdatato l’uscita del film di Denis Villeneuve, di un anno, per non bruciare una potenziale gallina dalla uova d’oro mentre l’attesa per il debutto mondiale presso la Mostra del Cinema di Venezia è stata enorme. Solo la prenotazione digitale ha permesso agli utenti della kermesse di non venire alle mani perché i biglietti per il pubblico, come i posti per gli accreditati, sono stati bruciati in un battito di ciglia. E non è bastata una proiezione a mezzanotte per placare la fame intorno a questo film che sembrava già leggendario prima della sua uscita.
Per quel che mi riguarda l’approccio a "Dune" e stato contrario alla consuetudine che prevede la lettura del romanzo e solo più tardi la visione del film. Ricordo di aver visto il film di David Lynch almeno un paio di volte prima di acquistare e leggere il primo capitolo della saga. Ciò accadeva almeno 25 anni fa. Non sono dunque un fan vero e proprio. Non ho mai letto gli altri 5 libri di Herbert né quelli scritti a quattro mani dal figlio con Anderson. Riconosco invece il credito dello scrittore americano nei confronti di George Lucas che non ha mai nascosto la sua ammirazione per "Dune" e il suo legame con "Star Wars". Ho ammirato, nonostante i tagli, la regia di Lynch e la vicinanza allo stile sensoriale del romanzo di Herbert che mi risulta fu soddisfatto del lavoro finale del regista. Lynch dovette accontentarsi di una versione light. La produzione si sbrigò a liquidare la richiesta del regista di una versione di 4 ore, richiesta poi scesa a 3 ed infine fissata intorno ai canonici 120 minuti. Cinema e serialità di stampo televisivo non si erano ancora incontrate in quel 1984 in cui solo George Lucas studiava per rendere le sue “Guerre Stellari” un businness pluriennale.
Denis Villeneuve è sicuramente capitato nel momento più idoneo per riprendere in mano il libro impossibile di Herbert. Sono cambiati i gusti dello spettatore che ama le saghe e la serialità ed affronta sempre più pigramente nuovi film e nuovi franchise. "Dune", in tal senso, è un’opera di grande fama ed il materiale vastissimo potrebbe consentire l’uscita di molte serie televisive e film. Gia’ sappiamo che il film di Villeneuve è solo la prima parte del primo libro. Lynch non avrebbe mai potuto girare due film ed è stato costretto a condensare un materiale che ora è considerato oro che luccica dagli odierni produttori. Le mode cambiano e i produttori si adeguano. La tecnologia, inoltre, rende senz’altro più facile affrontare l’universo fantascientifico del romanzo permettendo di tagliare i tempi e (forse) i costi.
E il “Dune” di Villeneuve? Cosa mi ha dato alla sua prima visione? Rispondere non è semplice. Innanzitutto non sono riuscito a vederlo senza pensare alla versione del 1984. È stato un continuo passare da un film all’altro. È stato un viaggio nello spazio e nel tempo, come avessi respirato la spezia contenuta nella sabbia di Arrakis. Kyle McLachlan come Timothée Chalamet, Zendaya come Sean Youg, Francesca Annis come Rebecca Ferguson e via dicendo. Dopo un po’ ho smesso di ripetermi di non pensare a Lynch e ho lasciato che la mente spaziasse nei due universi paralleli come la libellula guidata da Paul Atreides nella tempesta di sabbia.
A quel punto mi sono goduto il film. Villeneuve ha evitato di emulare il suo predecessore e ha girato un’opera a tratti simile, a tratti molto diversa. I monologhi interiori, che pure erano presenti nel romanzo, sono stati sostituiti dalle visioni di Paul. La casa Harkonnen è stata dipinta in tutta la sua lugubre possenza. Rabban Harkonnen (Dave Bautista) ha lasciato un marchio indelebile con pochi minuti e poche battute mostrando una complessità impensabile. Il Barone Harkonnen (Stellan Skarsgard) esibisce una spietatezza lucida e controllata che nulla ha a che fare con la precendente versione. Lo stesso Paul Atreides sembra un insicuro giovane soldato che non sa quale strada prendere. Una versione dell'eroe ben più complessa e interessante della precedente.
Dal punto di vista visivo il film è estremamente affascinante. Villeneuve ama le riprese dall’alto. Le visioni su Arrakis, la nave che esce dall’acqua, le truppe che si muovono sulla piazza lasciano sbalorditi. Ma le riprese che preferisco sono quelle radenti il suolo. Il vento che accarezza la sabbia, il “Melange” che si mostra in controluce vibrando nell’aria sfiorano il romanticismo più malinconico. La partitura musicale, un misto tra suoni bassi, cornamuse, e note che sembrano uscite da una cavità sotterranea, lasciano il segno. Dal punto di vista scenografico il film è ineccepibile. La sabbia è la protagonista di questa versione del regista canadese a ribadire la centralità del pianeta nel racconto. Vi sono accumuli di sabbia in ogni angolo della città, spazzata dal vento e dalle tempeste, e le tute fremen sono sporche ed insabbiate dopo un attacco repentino nella superfice del deserto. La strategia di attacco della popolazione di Arrakis ricorda l’uscita degli zombie dalle tombe ed è sorprendente. Le navi spaziali giganteggiano nei cieli e nello spazio con le loro linee pulite che ricordano i monoliti ovoidali di “Arrival”.
Il minutaggio consente a Villeneuve di aggiungere particolari importanti come l’incontro tra la reverenda madre Bene Gesserit ed il barone Harkonnen o la visita di De Vries al pianeta del guerrieri imperiali. Il film dunque ha una maggior rotondità ma, per spezzare una lancia in favore di Lynch, va detto che la materia rimane complessa, a priori, per chi sente parlare di “Dune” la prima volta. Se Lynch era stato criticato per i famosi “spiegoni” anche Villeneuve ha dovuto ricorrervi, anche se in maniera molto più sottile. Le prime ed importati informazioni su Arrakis, la spezia, il ruolo del melange, dell’impero e della casa Atreides ci vengono forniti da una guida che Paul ascolta nel pianeta natale Caladan. Avveniva anche nella versione del 1984 ma con minore insistenza. I punti salienti toccati da Lynch sono facilmente riconoscibili nella versione villeneuviana e rimangono un caposaldo di entrambe le opere. Quello che, a mio avviso, manca al nuovo “Dune” è la presenza scenica della streghe e l’inquietante forza della “voce” che mi provocò molti più brividi nella versione del 1984. Ma forse dovrei aspettare la seconda parte per un giudizio definitivo. E, a mio modo di vedere, la spiritualità del precedente film sembra spazzata via da una maggior compostezza che lo rende meno magico.
La compostezza e la sobrietà sono gli elementi su cui si fonda il lavoro di Villeneuve. Ne sono un esempio cristallino le linee pulite dei palazzi, delle armature, degli ambienti arredati dal minimalismo architettonico. Nel complesso “Dune” è un buon film che finisce nell’unico modo possibile. Paul Atraides uccide e muore egli stesso. Rinasce dalla sabbia a nuova vita. Egli è Mahdi. La sua nuova casa sarà Arrakis e il suo nuovo popolo sarà il popolo “fremen”.
Rimango in attesa di un secondo capitolo in cui esploderà l'epica del romanzo. Non credo ad una sola parola di chi dice verrà realizzato nel caso gli incassi del primo siano buoni. Spero solo di non dover attendere troppo la venuta del Kwisatz Haderach.
Charlie Chaplin Cinemas - Arzignano (Vi)
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