Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
FESTIVAL DI VENEZIA 78 - FUORI CONCORSO
Sul pianeta di Arrakis, conosciuto anche come Dune per la presenza di un infinito ed inospitale deserto ondivago di sabbie poco favorevole alla vita umana ed animale, oltre la "spezia" c'è di più. Lo comprende a fine film il nostro Paul Atreides che in questa sontuosa versione firmata Villeneuve assume una figura messianica che matura questa sua consapevolezza progressivamente, dopo un calvario, quasi più interiore che fisico, a cui verrà sottoposto lungo tutta la storia.
Avventurarsi a mettere in scena e portate sullo schermo l'epopea delle famiglie nobili nemiche degli Atreides e degli Hakronnen, nati dalla fantasia compulsiva e complessa di Frank Herbert, ha già fatto male a diverse illustre personalità del mondo del cinema.
Posto che, anche per ragioni personali di carattere affettivo (ho visto il primo Dune sedicenne al cinema ai tempi della sua uscita, emozionandomi assai), sono molto affezionato alla versione martoriata e combattuta di Lynch, piegato da un De Laurentis in vena di produrre l'ennesimo blocbuster facile e scorrevole; posto che i tentativi di trasposizione impossibile da parte di quel genio folle di Jodorowski sono diventati una leggenda degna di dar vita ad un film sulla sua genesi impossibile, che poi è stato appunto girato ed è uscito di recente, in ritardo, pure nelle nostre sale, ecco che la staffetta passa ora al talentuoso Denis Villeneuve.
Cineasta carismatico ormai piuttosto avvezzo a farsi carico di sfide impossibili, dopo aver girato ed essere sopravvissuto tutto sommato piuttosto bene al sequel tutt'altro che scontato di Blade Runner, portavoce di un atteggiamento tipico da autore tosto e capace, che ama e non si tira indietro di fronte ad obiettivi più che sfidanti.
Qui il progetto, sontuoso come c'era da aspettarsi, è in realtà il primo capitolo di una serie (dittico o forse pure trilogia?) che intende dare un filo narrativo compiuto è logico dopo l'adorabile pastiche dalle tinte kitch di Lynch, con i suoi cattivi pieni di pustole, Sting seminudo e Silvana Mangano meravigliosamente anticipatrice di Hellraiser.
E i vermoni artigianali e meccanici made in Rambaldi.
La storia è inutile raccontarla, ma il film impiega più di un'ora prima di ingranare veramente, avvilito da dialoghi stantii e formali che rendono l'atmosfera troppo soffocante con al centro le problematiche che contendono il pianeta più inospitale e pericoloso tra i due casati rivali, grazie alle preziose spezie che scaturiscono dalle sabbie dei deserti.
Poi certo arriva l'azione, i vermi nel deserto, e Villeneuve trova pane per i suoi denti di gran direttore di scene madri.
Ma la dilatazione rende pesante il tutto, e la fantascienza con ambientazione lontana assai (siamo negli anni diecimila!) ma resa esplicita da un contesto primitivo sia nei costumi che in certe modalità di combattimento all'arma bianca, hanno ormai troppi precedenti per non risultare ormai un po' troppo desuete, rimandando la mente all'incubo Stargate targato Emmerich.
Dune così concepito emoziona come uno Star Ward clone, ovvero come un progetto seriale che non ha lontanamente nulla a che spartire con il bel guazzabuglio sbagliato ma affascinante di Lynch, e men che meno con quel progetto sulla carta meraviglioso risultante dalla folle joint venture Jodorowski+Moebius.
Non aiutano molto a rendere memorabile il filmone alcuni interpreti piuttosto imbalsamati o al minimo del loro apparente impegno espressivo (Oscar Isaac catatonico, Javier Bardem ancor di più come ormai quasi sempre avviene, Bautista e Momoa che ripetono un pòs il medesimo cliché abbinato alla loro massa muscolare, ed un Stellan Skarsgard che, pur restando un ottimo interprete, non riesce a rendere efficacemente repellente il suo personaggio come invece accadeva nel "filmaccio" adorabile di Lynch.
Insomma il nuovo Dune è perfetto tecnicamente, ma freddo e senza cuore, al contrario dell'amato pasticcio di Lynch che rende più baracconeschi, e quindi umani, i suoi personaggi.
La versione di Jodorowski sarebbe probabilmente risultata il capolavoro: ma è naufragata sul nascere, e dunque siamo costretti a limitarci a desiderarla come un sogno proibito.
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