Regia di Antonio Albanese vedi scheda film
Ragionando sulla filmografia di Antonio Albanese, la prima cosa che salta all'occhio è il numero di regie realizzate dal 1996 poiché a prendere in contropiede lo scrivente non è tanto l'esiguità del numero (appena quattro in quasi vent'anni) piuttosto il fatto che l'ultima di queste risalisse addirittura al 2002, anno d'uscita de "Il nostro matrimonio è in crisi". Lo stupore deriva dal fatto che in questo lasso di tempo Albanese, nel frattempo diventato attore di somma popolarità, è riuscito, salvo rari casi, a frequentare i set cinematografici rendendo impalpabile la differenza tra le volte che è stato dietro la mdp e quelle in cui recitava per conto di altri. Questo per dire come tra le frecce del proprio arco il nostro non abbia mai avuto quella in grado di emanciparlo da uno sguardo troppo debole e anonimo per tener testa all'esuberante estrosità del mattatore. Da questo punto di vista la regia di "Contromano" si distingue per la ricerca di un equilibrio nel rapporto tra le immagini del film e il personaggio interpretato da Albanese. Approfittando delle incursioni nel cinema d'autore dei vari Mazzacurati e Amelio che ne hanno limitato l'istrionismo e valorizzato le potenzialità drammatiche, Albanese sembra adeguarsi alla semplicità della cornice che ne ospita la figura. Così, se il regista non fa niente per segnalare la sua presenza, affidando al montaggio e non ai movimenti di macchina il compito di sviluppare la progressione narrativa anche all'interno della stessa sequenza, così il corpo dell'attore si fa carico di una compostezza altrove deformata da tic e tormentoni provenienti dal repertorio televisivo e qui invece perseguita dalla prima all'ultima scena, ove si eccettui l'intermezzo a bordo della macchina quando il protagonista rivolgendosi al malcapitato ospite sostituisce il ritornello di una canzone con una strofa di sberleffo inventata sul momento.
D'altronde, sarebbe stato un controsenso stravolgere la logica comportamentale di un carattere quale quello di Mario Cavallaro, che sembra l'ultimo prodotto di quella classe dirigente e imprenditoriale (da Ivo Perego a Cetto La Qualunque) chiusa in sé stessa quanto divorata dal proprio stesso egoismo. Ma c'è di più, perché se la carica eversiva e l'intraprendenza sgangherata e disonesta, ma comunque contagiosa e vitale, era stata una caratteristica dei suoi predecessori, Mario, al contrario, è figlio del proprio tempo, un dead man walking, spento alla vita e chiuso all'interno del proprio mondo. In questo senso, è esemplare la maniera in cui Albanese lo introduce al pubblico, barricato all'interno del proprio negozio mentre osserva impotente e astioso Oba (Alex Fondja), il giovane ambulante senegalese che gli ruba i clienti vendendo calzini a basso costo. L'idea di vendicarsi del rivale riportandolo con la forza al proprio paese serve al film per assumere la forma di un viaggio geografico ed esistenziale che, grazie anche all'amore di Mario nei confronti di Dalila (la bellissima Aude Legastelois), sorella di Oba unitasi al seguito della coppia, vedrà il protagonista ritornare sui propri passi, trasformando la diffidenza e l'intolleranza in accoglienza e accettazione.
Albanese si getta a capofitto dentro una delle questioni più spinose e dibattute del nostro tempo come quella dell'immigrazione e della convivenza tra indigeni e nuovi arrivati. Per farlo non esita ad arrivarci per la via più facile possibile che è quella di creare personaggi antitetici destinati con il tempo ad azzerare contrasti e differenze. Salvo che, se l'intelaiatura narrativa è costruita su luoghi comuni, semplificazioni e stereotipi tipici dell'ultima commedia italiana, bisogna anche dire che il personaggio di Albanese è meno netto di ciò che potrebbe sembrare. A piacere è soprattutto la maniera con cui il regista, a fronte di un personaggio tutto d'un pezzo, riesce a renderlo comunque trasparente, mostrando, senza giustificare da quali paure scaturisca, il razzismo nei confronti del diverso. Che poi il percorso di consapevolezza compiuto da Mario sia più o meno simile, anche nelle conclusioni, a quello effettuato da Zalone in "Quo vado?", consente di allargare il discorso allo stato generale della nostra commedia e a come Albanese e Zalone, con le peculiarità tipiche della loro comicità, siano arrivati a essere le due facce della stessa medaglia.
(pubblicato su ondacinema.it)
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