Regia di Barry Levinson vedi scheda film
Lo “schema Ponzi” è un artificio economico truffaldino a struttura piramidale, in cui gli elementi in testa alla catena riescono ad ottenere il massimo dei profitti, mentre le persone posizionate nella parte bassa si accollano tutti gli oneri che avvantaggiano i primi. Tale modello assicura lauti guadagni a chi lo pone in essere, e a coloro che si trovano immediatamente sotto l’ideatore, a patto che questi ultimi trovino sempre nuovi investitori, a loro volta destinatari e vittime della truffa.
Bernard Madoff, finanziere ebraico classe 1938, professionalmente nato bagnino e divenuto uno degli uomini più facoltosi della finanza newyorkese, fu arrestato nel 2008 dalla polizia federale con l’accusa di aver truffato la sua clientela, creando un buco finanziario da 65 milioni di dollari a danno di una folla di risparmiatori ignari, allettati a suo tempo dalle iniziali remunerazioni offerte dagli investimenti dirottati sugli strumenti finanziari di quell’uomo, in realtà pagate da Madoff con il capitale dei nuovi clienti “catturati” da quel sistema forzoso e irresistibile ai più.
Un mago della finanza? No, semplicemente un ladro, un criminale dai modi gentili capace di portare avanti una truffa durata decenni, durante i quali l’uomo assunse anche incarichi istituzionali come quello di presidente del NASDAQ.
Robert De Niro, probabilmente affascinato da quella bieca e controversa figura, produce ed interpreta Medoff in un film per la tv finanziato da HBO e diretto, con la consueta professionalità, dal solido Barry Levinson.
Ne scaturisce un convincente ritratto di una figura sconcertante, che nel film sceglie deliberatamente di confessare i termini di una truffa colossale, che altrimenti avrebbe potuto durare ancora per anni. Lo ascoltano sconcertati i due figli maschi Alessandro Nicola, bravo, e Nathan Darrow), posti scientemente verso incarichi collaterali che li rendessero ignari – e dunque innocenti – rispetto ai capi d’accusa che sono gravati sul magnate, nonché una moglie giovanile e incredula a tal punto da non riuscire nemmeno ad odiarlo (la interpreta una ancor splendida e sin troppo giovanile Michelle Pfeiffer).
Un film lungo, sin un po’ prolisso, ma efficace nel suo complesso, nel quale tuttavia De Niro, sottoposto in prigione ad una intervista che si apre su vari flashback esplicativi della drammatica vicenda - primeggia con la sua capacità di identificarsi anche fisicamente al personaggio, e quando Levinson lo inquadra negli occhi, verso la fine, un brivido di emozione riesce a scuoterci dopo più di due ore di tiepida quanto corretta narrazione dei fatti.
Certo, nel ruolo della giornalista intervistatrice del protagonista era lecito aspettarsi una prima attrice di razza, mentre Levinson lascia invece correre, perdendo, a mio avviso, un’ottima opportunità per convincere appieno.
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