Regia di Sergio Castellitto vedi scheda film
Una donna tenace che corre tutto il giorno per togliersi di dosso il disagio di una mediocrità che l'ha sempre sopraffatta. La "fortunata" coppia più florida del cinema italiano sa come accattivarsi i favori del pubblico, ma anche costruire un personaggio di donna forte e convincente che avrebbe creato, nei '50, un personaggio cult.Ottima la Trinca
CANNES 70 - UN CERTAIN REGARD - PREMIO AL MIGLIOR INTERPRETE: JASMINE TRINCA
Per alcune persone il motto "chi si ferma è perduto" diviene una ragione di vita, e per più di un motivo: per necessità, per l'impulso dovuto ad un carattere forte, per la necessità di restare vivi e non pensare alle tragedie che piovono addosso senza tregua né ritegno su alcune categorie spesso già di per sé svantaggiate ed oppresse.
Fortunata vive questa antitesi esistenziale tra il suo nome scaramanticamente incongruo, ed una serie di brutte storie che la affliggono già a partire da una infanzia la cui soglia di drammaticità nemmeno ci sfiora di poter intuire all'inizio.
E corre Fortunata, corre sui tacchi, tra una piega e una tinta a domicilio, sognando di aprire un locale tutto suo da condividere con uno sciroccato tatuatore, suo fratello non naturale ma di sventura.
Corre e fugge da un marito violento e malizioso che la umilia e la malmena per puro sadico piacere.
Corre per cercare di far sì che la bambina frutto di quell'infelice matrimonio, non le sia sottratta ed affidata a quel folle violento dell'ex marito.
Per questo incontra e si invaghisce di un piacente psicologo dai modi accondiscendenti ed affabili, che a sua volta rimane abbagliato dalla fisicità prorompente, dall'energia contagiosa e dalla indomita vitalità della patinata e provocante ragazza in minigonna e tacchi alti che sorreggono due gambe affusolate sempre in movimento.
Che la "Premiata" ditta coniugale Castellitto-Mazzantini abbia ben presente cosa vuole sentirsi raccontare o far propinare allo sguardo il pubblico, non è certo un mistero, ne' una novità, né francamente ritengo possa essere considerata una colpa o un demerito, quanto al massimo una scaltra e calcolata strategia commerciale, che ci può stare almeno nei limiti di una correttezza e coerenza di fondo.
Saper arrivare al pubblico è senz'altro una dote, e a Cannes, tra le file dei Cinéphiles, Fortunata ha realmente trionfato, tanto che si è parlato molto più di lei che del vincitore della Palma The Square.
Nella Giuria del Certain Regard il premio a Jasmine Trinca ha suggellato un amore per il personaggio che anche i magri incassi italiani del periodo che precede l'estate hanno saputo valorizzare ai danni di quasi tutti gli altri film concorrenti: un successo commerciale che mi è parso pertinente e meritato: Fortunata è un personaggio che un tempo avrebbe creato una diva come fu per la Loren il fenomeno mediatico-popolare de La Ciociara, buon e ben altro film, ma neppure lui esente da difetti.
E la Trinca è perfetta quanto a fisicità, cocciutaggine manifesta e voglia di vivere, intesi come desiderio di farcela, di realizzarsi, si togliersi di dosso tutti i problemi che la costringono ad affannarsi senza mai una sosta o un respiro.
Certo poi Castellitto regista, se da un lato azzecca quasi tutto il cast, a partire dagli eccellenti, perfetti Edoardo Pesce e Alessandro Borghi (persino la svaporata Schygulla, madre del tatuatore bipolare, possiede un suo perché che la rende un personaggio forse superfluo, ma vivo e magnetico) - ma pure l'Accorsi saggio e posato che predica bene e poi finisce per approfittare biecamente della situazione - molto spesso non può esimersi, proprio non ce la fa, dall'infarcire le riprese di siparietti coreografici superflui ed accattivanti, conditi da musiche ruffiane forti di sconsiderato consenso plateale (nella colonna sonora sguaiata personalmente salvo solo il grande Antony & The Johnson con la memorabile "You are my sister").
Così come la Mazzantini si arrovella di penna su un finale così romanzato e rocambolesco da sfiorare il paradosso e la sfrontatezza senza ritegno.
Detto questo, il personaggio c'è, è vivo, respira, emoziona, piange e si dispera, si fa amare, nel bene come nel male, e regala alla splendida Trinca una figura di donna che tutte le colleghe le invidieranno per un pezzo: un personaggio di quelli che capitano, almeno da noi, solo ogni tanto, come è accaduto alla Golino in Respiro di Crialese, o di recente alla Bruni Tedeschi nell'altro imperfetto ma a tratti straripante e vitale La pazza gioia di Virzì.
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