Regia di Sergio Castellitto vedi scheda film
Imbarazzante.
Fortunati coloro che non avranno l'ardire – o la sfiga – di posare gli occhi sull'ultima fatica della letale, ammanicatissima coppia Castellitto-Mazzantini.
Non si salva niente, non si salva nessuno, nemmeno un disegnino appeso alla parete o l'armadio in fondo alla stanza che se ne sta per i fatti suoi: il ritratto di periferia coatta e cafona, “disperata”, plasmato con mani tozze e testa diabolica dai coniugi di cui sopra, è una lardosa, untuosa, fasulla rappresentazione grondante i peggiori grassi tossici e malevoli di stereotipi rancidi, mezzucci da quattro soldi (che proprio quattro … non sono) e acconciature ideologico/teoriche fetide e sudicie.
La “storia” è una sequenza di (stra)fatti come tante (madre in procinto di divorziare alle prese con marito violento e stronzo, figlia problematica, lavoro in nero, cronica carenza di soldi, prospettive di miseria e sogni nel cassetto): roba vista, stravista, rigurgitata mille volte, infilata per sacri condotti oramai ampiamente alla(r)gati.
Per quanto derivativa, inutile, superficiale, condita di dialoghi pesantemente risibili (quando va bene) e scelte/svolte narrative sempre rispondenti a precisi rigonfi canoni (sua maestà l'eccesso), non è neppure il male peggiore.
Ma contribuisce – poiché, altresì, fa da pretestuoso sfondo – al funesto, dannosissimo insieme.
Che sta – attaccato come mille mitili marciti al piccolo scoglio, infettandolo – nell'idea di fondo, nel pingue disegno generale, nella carica dopata di ultra-retorica ed enfasi che stenderebbe cento elefanti peraltro già stecchiti da un pezzo.
E se il romanesco marcato è una bolsa dichiarazione d'intenti, e i toni – dominano isterismi, soapoperismi, kitsch e artificiosità diffusa – danno le esatte coordinate della disgustosa, irricevibile fuffa, caratterizzando scene ad altissimo, estenuante contenuto di ridicolo che non fa ridere ma solo urtare (il dottorino Accorsi che sbrocca urlando del suo “codice deontologico” mentre un secondo dopo mette i tentacoli sulla mammina Trinca è d'indescrivibile idiozia; e non è affatto un unicum, vedi la scenata alla stazione di polizia con colpo di scena tramite confessione annesso: una tragedia), sono i personaggi ad ammantare di un velo mortifero qualsiasi pretesa di “autenticità” e respiro drammaturgico.
Burattini drogati di uno spettacolo ipertrofico, scadentissimo e terrificante – tanto più quanto invece si dà arie autoriali –, la donna Fortunata di nome ma non di fatto, la di lei figlia con problemi comportamentali, lo spasimante dottore, l'amico tossico dal cuore buono e tutto il circondario di comprimari “borderline”, assommano miseria ad altra miseria, impensabile al già incredibile.
Complici/vittime/spettatori gli attori: da Jasmine Trinca imbiondita sciampista di provincia con broncio ed espressione “indurita” d'ordinanza a Stefano Accorsi maldestramente abbaiante, da Alessandro Borghi (auto)replicante al suo peggio alla malcapitata Hanna Schygulla (un ruolo assurdo, sciagurato: da Fassbinder, Wenders, Tarr a Castellitto: che avrà mai fatto di male??!).
Inutili nonché insignificanti sottotesti e presunti pensieri “alti” (i riferimenti reiterati alla tragedia di Antigone) così come i “ricercati” movimenti di macchina definibili banalmente come sorrentinismi d'accatto, mentre sballata risulta persino la scaletta musicale (in scaletta, random, Cure, Creedence Clearwater Revival, Vasco Rossi).
Imbarazzante, sì.
Aspirano a descrivere chissà quale realtà parallela, Mazzantini & Castellitto; alla loro - sovraccarica, sovraeccitata, sovraesposta - maniera. Fortunata non è neorealismo: è realismo del neo. Così grosso da coprire qualsiasi espressione residua di Cinema.
Voto 1. Tutto per il magnifico culo d'una munifica Jasmine Trinca inquadrato nel finale - come Tinto Brass comanda - mentre le casse sparano Vivere di Vasco.
Micidiale.
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