Regia di Alexandre Bustillo, Julien Maury vedi scheda film
In un Texas marcio fin dentro le budella, dove la linea di demarcazione dall’essere criminali, medici missionari o uomini di legge è talmente sottile da risultare nulla, dove nessuna redenzione è contemplata per le anime perdute che vi dimorano, menti geneticamente deformi e deformate dalla rozzezza di un ambiente rurale arretrato, ignorante, isolato nei suoi ampi spazi all’aperto arsi dal sole, vittime e insieme carnefici di un incubo senza fine che li ha partoriti e che hanno contribuito a generare, trasformandolo nel tempo in qualcosa di ancora più atroce e feroce, raccapricciante e devastante, si muove a proprio agio la coppia d’oltralpe Julien Maury and Alexandre Bustillo per confezionare questo nuovo (quanto necessario?) capitolo-prequel (dell’originale firmato Tobe Hooper) della famiglia sanguinaria più nota negli archivi della cinematografia di paura.
L’impressione che se ne ricava è sicuramente positiva riguardo alla messa in scena, che restituisce una diffusa sensazione di disagio, anche tattile, per gran parte della pellicola: le facce, gli umori, lo sporco, il fango così come il sudore e il sangue appiccicati ai vestiti risultano indiscutibilmente disturbanti, contribuendo a garantire al film quella componente ‘iperrealistica’ cara alla saga in questione, che nel lontano 1974 sconvolse non poco l’immaginario comune.
E se lo script è capace di riservare sorprese all’interno delle pur sempre collaudate/risapute dinamiche di morte annunciata solleticando il tarlo del dubbio su chi dei personaggi possa incarnare il futuro Faccia di Cuoio, trovando pure il tempo di omaggiare il Pulp Fiction tarantiniano nella scena della tavola calda, è proprio nella direzione dei due registi europei (quelli che hanno all’attivo l’interessante, per molti, À l'intérieur) che il film finisce per deludere le aspettative, facendolo assomigliare a tante altre pellicole dell’orrore di oggi, forti di una resa visiva più che apprezzabile ma non così forti e, in qualche maniera, innovativi da lasciare veramente il segno.
Sarà pur vero che, oramai, il pubblico è avvezzo alla rappresentazione della violenza, ai fiumi di sangue e alle mattanze più disparate però, è anche vero, che il tallone d’Achille di questa pellicola -media- sta proprio nella continua, quasi ossessiva, ricerca di creare ad arte l’effetto, lasciando trapelare un’artificiosità che a lungo andare risulta irritante ed indigesta, e che si mangia, praticamente, l’intero film.
Ma, paradossalmente, come per controbilanciare l’inclinazione all’enfasi visiva, tratta in maniera approssimativa esecuzioni (minori) che avrebbero richiesto una maggiore cura nel loro compimento, forse nella convinzione che così non si sarebbe persa la naturale brutalità del tutto, o forse, per non rendere fin troppo manifesto l’interesse a monte nella realizzazione del film, quell’autocompiacimento autoriale (?) che si rivela fin troppo spesso deleterio.
Forse, armati di una maggiore spontaneità, il risultato, per quanto esteticamente meno perfetto, sarebbe arrivato a far breccia nel cuore di chi scrive, facendolo battere forte.
Occasione mancata.
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