È difficile parlare di un singolo finale quando si parla di Grand Budapest Hotel così come di molti altri film di Wes Anderson che devono, a causa della loro struttura a matrioska, chiudere tutte le loro parti e le loro confezioni prima di dirsi conclusi. Grand Budapest Hotel è una storia tratta da Stefan Zweig; viene letta da una ragazzina seduta su una panchina; è firmata e pubblicata da un uomo che la scrive dopo molti anni che ha visitato l’hotel e ha incontrato il proprietario; vede come protagonista proprio questo nuovo proprietario che ne è l’originario narratore. Lettori dentro scrittori dentro protagonisti dentro storie dentro la Storia: cosa si perde nel mezzo? Esiste una verità nelle storie (e nella Storia) o esiste solo davvero chi la racconta?
La parte finale di Grand Budapest Hotel, sempre che di singola parte finale si possa parlare, è un insieme di tante cose che si chiudono a vicenda, rimandano l’una all’altra, spesso vengono illustrate in una certa modalità ma un filtro le nega e le capovolge di senso. Per esempio si vede Zero Moustafa, il giovane lobby boy entrato nelle grazie del concierge Monsieur Gustave, che sposa la sua innamorata Agatha: nel frattempo la sua voce fuoricampo racconta di quanto presto sarebbero morti di lì a poco sia Gustave che Agatha, diluendo l’immagine gioiosa di un matrimonio in un senso funereo di morte.
O ancora, si vede il viaggio in treno che porterà alla morte Gustave, fucilato dai soldati dell’esercito simil-nazista: è un evento successivo, molto violento e negativo, ma è in bianco e nero – come di solito accade coi flashback – e non sembra lasciare adito a speranze o alla possibilità di un futuro per Zero. O ancora, infine, si vede l’intero personale dell’hotel in posa davanti a una finta immagine di un paesaggio – tanto finta quanto certi sfondi di cartapesta del film – ma la posa è più che altro teatrale, come di personaggi che non sono veri ma sono attori che si avviano a congedare il loro pubblico.
Una serie di menzogne che non riescono comunque a fare a meno di raccontare il vero cuore delle vicende di Grand Budapest Hotel: un quadro mesto e sconsolato della prima metà del XX secolo, in cui l’Europa è trafitta dalla guerra anche nei suoi anditi più nascosti, isolati, inesistenti. Forse anche nell’immaginazione dei suoi abitanti, e nel loro modo di raccontare. Tanto violento e disperato, questo secolo, che spinge a porsi una domanda su ciò che sappiamo o veniamo a sapere di quel periodo dai racconti di altri e dai libri. Cosa sono davvero gli eventi che scrivono gli scrittori e gli storiografi ma che, come dice Tom Wilkinson all’inizio del film, possono essere compresi fintantoché il lettore sia bravo “a guardare e ad ascoltare”? Sono pieni di dettagli falsi o quei dettagli sono veri? Ha importanza?
Per quanto Grand Budapest Hotel si possa inoltrare in una lunga stralunata metafora dei conflitti mondiali del XX secolo, prima di tutto sembra voler lavorare sulla sua stessa confezione, sul filtro parodico, sul modo e non sul cosa. Il cosa c’è, è più o meno grottesco o vero o verosimile o improbabile o falso, ma è lì e sta al lettore decidere a cosa dare peso. Anche quando la Storia è il racconto di qualcun altro, ed è di terza, quarta, quinta mano: la responsabilità è del lettore. E in questo caso dello spettatore.
Perché dopo le picaresche avventure del film, raccontate al ritmo indiavolato di qualcuno che sfoglia a velocità supersonica le pagine di un libro illustrato, le ultime immagini sono pure e semplici: Jude Law che scrive, Tom Wilkinson che scrive, la ragazzina sulla panchina che legge. C’è spazio per noi accanto a loro, a sinistra a destra o al centro, per decidere se abbiamo imparato qualcosa.
Il film
Grand Budapest Hotel
Commedia - USA 2014 - durata 103’
Titolo originale: The Grand Budapest Hotel
Regia: Wes Anderson
Con Ralph Fiennes, Tony Revolori, Edward Norton, Owen Wilson, Tilda Swinton, Jude Law
Al cinema: Uscita in Italia il 10/04/2014
in streaming: su Disney Plus Apple TV Amazon Video Google Play Movies Rakuten TV Timvision
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