Una strada e su quella strada una croce dove qualcuno ha posato dei fiori. Nessuna musica, soltanto il rullare delle auto che passano in una direzione e poi nell’altra, turbando la pace di un sonno eterno. Qualcuno è morto e uno stacco dopo scopriamo la sua casa, le montagne dietro e un’auto parcheggiata davanti.
Dentro un corpo rannicchiato e ancora invisibile allo spettatore. La nebbia sale e assedia la vettura e il protagonista, un adolescente in lutto per la morte improvvisa del padre.
Si nasconde Lucas, fugge lo sguardo di noi che guardiamo ma la macchina da presa gira intorno e lo sorprende dietro al vetro, immobile dentro un silenzio rotto solo dal ticchettio della freccia direzionale. Sul volto pallido il riflesso degli alberi, negli occhi un vuoto profondo. Poi arriva una donna, sua madre, che apre la portiera per farlo respirare, ricondurlo dalla parte della vita con una domanda: “Vuoi guidare?”.
Perché quando sei triste non sai bene cosa fare con le mani e col dolore. Per il dolore non c’è rimedio, le mani invece puoi tenerle indaffarate, fare piatti già puliti o magari guidare un’automobile da un punto a un altro. Ma Lucas declina, accoglie solo la carezza della madre e una parola di incoraggiamento che lo invita all’azione. Coi fiori in mano, il genitore lo ‘conduce’ dentro un lutto che Christophe Honoré lascia scorrere in time-lapse, per risaltare forse il contrasto del tempo in perenne movimento con l’immobilità della pietra sepolcrale, di una croce e di un giovane volto che tradisce il punto di rottura in cui il destino si rovescia. L’inverno intanto domina intorno e il gelo minaccia l’equilibrio mentale ed emotivo del protagonista, che domani una manciata di personaggi riscalderà: il brusco ma tenero fratello maggiore, la madre straziata ma energica, un amore che lo ispira, un amante che lo consola.
Sono sufficienti due minuti e una manciata di secondi al regista per disegnare un adolescente assente dal mondo, un cucciolo affranto che nella sequenza successiva si presenta al pubblico con voce lunare, dicendo cose tristi e il desiderio di mandare tutto all’aria. Ma Lucas ha appena cominciato a sperimentare, la sua vita, la sua omosessualità, che a Chambéry e nella sua famiglia si può dire e si può vivere. Poi la morte brutale del padre spegne la luce. Il ragazzo prende le distanze dal mondo, dal fidanzato, dalla madre, a cui chiede la cortesia di raggiungere il fratello maggiore a Parigi, prima tappa del lutto.
Alla disperata ricerca di un diversivo al suo stordimento e al suo dolore, il liceale si getterà in una passione impossibile per una città e un coinquilino di suo fratello. Il debutto dona il passo perché tutto il film, compresa la forma, è rivolto a questa scintilla di vita e di desiderio, spesso irraggiungibile, ma la cui ricerca è una costante fonte di eccitazione. Chiuso fin dal principio nel cappotto a quadri di Antoine Doinel, Lucas Ronis trasformerà la sua erranza in deriva e poi in caduta libera - tentativo di suicidio, plongée nell’afasia, ricovero in ospedale – e insieme nel suo contrario - un grande momento iniziatico fatto di scambi inaspettati in mondi a lui sconosciuti.
Paul Kircher è straordinario nel ruolo di Lucas, di cui incarna con inaudita ispirazione l’estasi di scoprire tutto in una volta: il dolore e il piacere, la disperazione e la frenesia di vivere, l’intensità delle emozioni e l’euforia di raccontarle. Per magnificarlo, Honoré interrompe il montaggio vivo ed ellittico dell’incipit con monologhi teatrali frontali, trasformando di colpo la sofferenza, il lutto e il calvario della morte in un’esaltante narrazione di sé, un oggetto di piacere estetico. Con la camera in spalla, al contrario, l’autore sperimenta l’apertura all’imprevisto, facendo vivere il film, lasciando che si inventi come un adolescente che pulsa energia e calore nel cuore dell’inverno.
Electricity, l’ammaliante brano new wave degli Orchestral Manoeuvres in The Dark, fa il resto, è la sua carica elettrica a guidare il movimento del film, a farlo battere, a riscaldarlo, a illuminarlo. Ma la corrente continua resta il volto di Lucas, disorientato fin dalle prime battute da un abisso improvviso. Combinazione di audacia e vulnerabilità, è il magnifico narratore che apre il film e racconta ancora muto la vitalità sconvolgente di un’età in cui tutto è più grande di prima (da bambino) e di dopo (da adulto). Il campo delle possibilità e degli ostacoli, delle certezze e dell’ignoto è infinito. Questo accidentato paesaggio esistenziale si manifesta sul suo corpo che passa dall’accelerazione all’allentamento, dalla corsa alla prostrazione, dal confronto verbale al silenzio profondo.
Con Winter Boy, Christophe Honoré fa un altro passo avanti nell’autoterapia, interpretando, il tempo di una scena enigmatica, il personaggio di un padre che è scomparso un giorno senza salutare. Non è la prima volta che l’autore affronta le tragedie familiari che hanno segnato la sua infanzia e la sua adolescenza. Al debutto del 2022 presenta al Théâtre de l’Odéon Le Ciel de Nantes, dove racconta le inquietanti circostanze della morte del padre. Un primo incidente d’auto, con Christophe accomodato sul sedile del passeggero, aveva anticipato come una premonizione lo scontro fatale... La morte paterna sembra essere l’innesco della sua vocazione d’autore, il sottotesto di tutte le sue sceneggiature, di tuti i suoi romanzi e di tutte le opere teatrali a venire.
Oggi, Winter Boy rafforza questa evidenza affrontando di petto lo stesso dramma. Il dolore di questa perdita si materializza davanti ai nostri occhi e in un’aurora che congela la memoria.
Honoré non mostra nessuna compiacenza nei confronti del lutto, dell’adolescenza o degli automatismi della narrazione del coming of age. Winter boy è un film sincero, diretto, che non si scusa di nulla e fa tutt’uno col suo personaggio, con la violenza, l’eterogeneità, la confusione dei sentimenti tipica di un adolescente colpito da una tragedia che ‘non lo riguarda’. Ne emerge uno strano miscuglio di vulnerabilità e forza, ma anche qualcosa di morbido e confortante, qualcosa che non è dovuto solo all’incredibile protagonista o alla splendida luce invernale, ma a un amore familiare tanto caotico quanto vibrante, che Honoré è riuscito a infondere in un film sovente struggente, sempre giusto. A partire dalla sua apertura, che unisce una strada, una casa e un ragazzo facendo dell’immersione intima un gesto artistico.
Apre su un campo lungo, Honoré e poi ricentra lo sguardo perché la macchina da presa possa avvicinarsi al volto, alla pelle di Lucas, fino ad auscultarne il polso. Parte da lì un viaggio caotico di urti e scossoni che segue nella doppia condizione di adolescenza e di tragica perdita. L’intero film si regge sulle spalle di questo liceale rimbaudiano, che racconta la sua storia in prima persona. Incognita e rivelazione insieme. Paul Kircher, fragile e canaglia, indomito e commovente, candido e arrogante, fa a pezzi lo schermo (e il finestrino), che Christophe Honoré riparerà con infinita delicatezza.
Il film
Winter Boy - Le lycéen
Drammatico - Francia 2022 - durata 122’
Titolo originale: Le lycéen
Regia: Christophe Honoré
Con Paul Kircher, Juliette Binoche, Vincent Lacoste, Christophe Honoré, Xavier Giannoli, Wilfried Capet
in streaming: su MUBI MUBI Amazon Channel
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