Augusto Pinochet è sempre stato il centro eluso del cinema di Larraín. Alla dittatura del generale cileno, iniziata con il colpo di stato del 1973 e formalmente terminata nel 1990, il regista ha dedicato una trilogia (Tony Manero, Post mortem, No - I giorni dell’arcobaleno), più un quarto film, Il club, che di quel mondo raccontava i resti. Fino a oggi, però, Pinochet non era mai stato mostrato da Larraín, laddove al contrario la sua figura anonima e opprimente aveva generato una continua riflessione sulle forme d’incarnazione e seduzione del potere nella storia e nelle immagini del Novecento.
Con El Conde, finalmente (ma ce n’era bisogno?), Pinochet arriva al centro della scena, come un vampiro che ha finto di morire nel 2006 e che dopo secoli di vita ha scelto di andarsene per davvero, pur proseguendo a planare su Santiago in cerca di vittime a cui succhiare il sangue. Nascosto su un’isola, l’ex presidente invecchiato ricostruisce l’entità del tesoro di famiglia con la moglie ancora innamorata, i cinque figli inetti e avidi, il fedele maggiordomo vampirizzato e una novizia venuta a rendicontare soldi e proprietà accumulati in anni di potere e di crimini.
In un mondo fuori dallo spazio e dal tempo (e così simile a uno dei famigerati campi di prigionia della dittatura), Pinochet è il rimosso della Storia controrivoluzionaria del mondo e del cinema stesso di Larraín, che in El Conde infila buona parte della sua filmografia: nel maggiordomo fedele c’è l’eroe ignobile di Tony Manero e Post Mortem, sempre interpretato da Alfredo Castro; nei figli sciatti si riconoscono i “figli della dittatura” di Il club; nella figura stessa di Pinochet si scorge il gioco di camuffamenti e riconoscimenti di Neruda; nella giovane suora sorridente c’è la stessa inafferrabilità di Ema, presenza incongrua e moderna che rilegge il passato fuori da ogni ideologia...
Il limite di El Conde è proprio l’accumulo postmoderno e sbracato di elementi eterogenei, e di conseguenza la confusione narrativa, tra ripetizioni, cambi repentini e svolte di difficile comprensione. Da un lato, dunque, Larraín aderisce pienamente alla logica “d’archivio” di Netflix (che produce), adattandosi ancora una volta a una forma narrativa classica (dopo il western di Neruda e l’horror di Spencer, il fantasy, con in più un’ironica voce narrante alla Barry Lyndon di cui sarebbe ingiusto svelare l’identità) e optando formalmente per una patina d’autore tutta di superficie, con l’elegante bianco e nero di Ed Lachman, la camera mobile in stile Iñárritu e i rimandi a Dreyer e al cinema europeo anni 60. Dall’altro lato, però - e questo nonostante tutto il fascino del film - il regista usa ancora una volta Pinochet come emblema di una condanna eterna per il Cile e per sé stesso (sono noti i legami con la dittatura dell’influentissima famiglia Larraín...), riprendendo l’idea della ripetizione inequivocabile del male e riportando ogni vicenda umana, pubblica o privata che sia, a un punto d’inizio sperduto da qualche parte in un passato impossibile da emendare.
Il film
El conde
Commedia - Cile 2023 - durata 110’
Titolo originale: El conde
Regia: Pablo Larrain
Con Alfredo Castro, Paula Luchsinger, Gloria Münchmeyer, Jaime Vadell
in streaming: su Netflix Netflix basic with Ads
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