Prima di vedere sentiamo, sentiamo un accendino elettrico e un fuoco accendersi, quello di un fornello probabilmente, ma non è una cucina che emerge dal nero. C’è un ponte e su quel ponte un uomo avanza di spalle verso qualcosa, verso qualcuno che resta inaccessibile all’osservatore, abbagliato dalle luci gialle dei lampioni.

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The Bear

Un cambio rapido di montaggio mostra finalmente quello che non vediamo, una gabbia chiusa posata sul punto di rottura di un ponte mobile e lucido di pioggia. È lo State Street Bridge, siamo a Chicago, nel suo loop, nelle sue estati torride e nei suoi inverni rigidi. Tollerante e razzista, progressista e violenta, cinematografica e arty, la Windy City surfa con le sue contraddizioni e presta la sua verticalità a The Bear, dramma ‘familiare’ installato nella cucina di una sandwicheria in perdita. Dal 1871, e dall’incendio che l’ha rasa al suolo, gli architetti hanno ricostruito tutto, hanno osato tutto, come Christopher Storer, creatore della serie all’ombra delle architetture di Frank Lloyd Wright e dell’atmosfera caotica della sua infanzia.

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The Bear

Il luogo è dato, adesso non resta che incontrare il protagonista, di cui il ‘costume’ tradisce il mestiere, un cuoco o forse uno chef, ma Carmen Berzatto fa molto di più che cucinare, scongiura i demoni familiari in cucina. La macchina da presa atterra di colpo al suo fianco e lo scopre in ginocchio, una mano tesa verso la gabbia di metallo che apre con prudenza, poi impenna di nuovo a mostrare un grosso orso bruno che punta minaccioso verso Carmy, di cui scopriamo finalmente il volto imperlato di sudore e gli occhi blu traslucidi. L’orso ringhia, l’uomo fa “shhhh”, piano, pianissimo perché non vuole turbarlo, sente la sua rabbia, la conosce, vuole quietarla, invano. Nel controcampo, la bestia ruggisce, ‘spalanca’ le fauci, lo attacca.

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The Bear

Carmy indietreggia, cade e poi si sveglia di sobbalzo nel suo letto, una branda improvvisata dentro il ristorante di Michael, suicida senza redenzione. Era un sogno, un maledetto sogno, quasi certamente lo stesso, ogni notte, da quando il fratello maggiore e impetuoso ha premuto il grilletto e chiuso i conti col mondo. A raccontarcelo è un luttino, ‘dimenticato’ tra le cose da fare e le fatture da pagare. Un montaggio serrato di dettagli scova il cartoncino ricordo del defunto, nessuna foto, solo qualche parola di circostanza dopo gli estremi dell’io: la data di nascita e quella di morte.

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The Bear

Lapidario e ruggente, l’incipit di The Bear conferma l’importanza della ‘prima frase’ per continuare a ‘leggere’, per indicare la via, per innescare la metafora che percorre la serie: il nutrimento. Ma c’è un altro sapore che domina le sue stagioni: l’amaro. Perché Storer lascia passare la luce senza filtrare l’asprezza, pratica la tenerezza senza affettazione, trovandola spesso al cuore del conflitto. Lontano da qualsiasi psicologizzazione applicata, le forze dell’inconscio si offrono allo stato grezzo. Non smettiamo di stupirci per la maniera ostinata e contorta con cui i personaggi si dichiarano il loro amore. Se l’orso è l’incarnazione dura e resistente dei Berzatto, il cibo evoca il ‘ragù’ di famiglia e il retrogusto persistente di un’infanzia danneggiata. Ma lontano da quella casalinga, la cucina si fa luogo di potenziale reinvenzione per far fronte alla bestia. Quale bestia?

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The Bear

Quella che ci portiamo dentro, quella dei nostri scacchi, dei nostri traumi, dei lutti mai digeriti, dei dolori relazionali o di quelli inflitti dalle nostre passioni, sovente più divoranti. Quella fuori, in agguato nella giungla del quotidiano, quella del tempo e della sua pressione, del vuoto e della paura tenace di non farcela. E ancora la bestia familiare, servita ogni Natale con l’amarezza. La depressione del protagonista non è una caratterizzazione tra le altre, ma pervade il suo rapporto col mondo e condiziona lo spettatore. Fin dalle prime battute condividiamo la sua angoscia, il fiato corto, il caos nella testa e quello della cucina con la sua cadenza infernale.

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The Bear

Il debutto onirico, che crea lo spazio sacro e le condizioni necessarie alla rivelazione dell’orso, rimanda poi all’esercizio di visualizzazione del nostro animale interiore, figura archetipica che si collega a un vissuto personale e affettivo. Come se l’anima del protagonista si rappresentasse e (ci) mostrasse il suo specifico destino. Un destino di cui prova disperatamente a controllare gli impulsi, sviluppando fin dall’esordio del suo personaggio quella capacità di rappresentare gli stati che lo abitano come quelli che immagina negli altri, una squadra di impiegati refrattari a qualsiasi regolamento. Amici, ‘cugini’, vecchi associati, reclute ambiziose, Carmy deve contenere la loro follia, mettere la sordina alle nevrosi, riconoscere la vocazione, incanalare l’energia debordante.

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The Bear

Si urla molto in The Bear, ci si urla contro, ci si insulta – a volte con tenerezza, a volte con rabbia -, si salta in aria coi coperchi, si impreca, si ride, ci si chiama zio e cugino senza legami di sangue, si litiga, si fa pace e poi si ricomincia daccapo. Ma la calma ritorna, invariabilmente, per sbrogliare meglio il romanzo familiare che scuote dalle fondamenta serie e ristorante. Perché The Bear non è prigioniera del suo tumulto e sa ritagliarsi le pause, un break sigaretta che riposa su lunghi piani fissi, offrendo ai personaggi la possibilità di ruminare pensieri e di esistere altrove che nell’iperattività. “Chiusa per rinnovo locale”, la seconda stagione allenterà addirittura la tensione dell’esordio e lascerà i fornelli per sondare meglio le angosce e l’urgenza di vivere dei suoi personaggi. Li seguirà nel mondo, tracciando traiettorie culinarie che si riveleranno immersioni sottili dentro cuori spezzati ed ego feriti.

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The Bear

Ego in gabbia, come l’orso dell’aurora, che è anche il nome che Michael aveva dato a Carmen, per sottolineare il suo coraggio e la sua capacità di perseverare nelle circostanze più difficili e malgrado quella loro famiglia disfunzionale, perché ‘casa Berzatto’ è un diluvio di sugo e veleno che schizza sui muri e incendia gli animi, è un delirante psicodramma che potrebbe placare soltanto un impossibile silenzio. Eppure quel ‘nome’, che porta come un’eredità pesante, una sorta di ‘pelle d’orso’ totemica, è così importante per Carmy da sceglierlo per il suo ristorante, in costruzione nella nuova stagione. Una stagione che trasforma “The Beef” in “The Bear”, un locale più ricercato e fancy, e serve un episodio ‘maggiore’, (contrap)punto d’orgoglio drammatico della serie. Una lunga ed estenuante puntata che svela il terreno tossico in cui è cresciuto. Una virata esplosiva e tragica nel paese dei ricordi conditi coi traumi, un treno fantasma che si arresta sullo sguardo vuoto del protagonista, impotente davanti alla follia materna.

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The Bear - seconda stagione

Intorno alla tavola si raccoglie una famiglia incapace di dialogare, ostaggio del rancore e di una cacofonia che impedisce all’amore di esistere. Tra feste pantagrueliche e leggendari sfoghi, il risentimento trascende e i meccanismi di difesa scattano, qualche volta saltano confermando la profezia ‘del ponte’. Perché la storia dell’orso non finisce sullo State Street Bridge e trova nel sesto episodio un’altra ragione. Non troppo dissimile dal cognome di Carmy, “Beər-zatto”, è una metafora della famiglia e dei suoi componenti, questa tribù chiassosa e benevola, dolce e accogliente ma insieme spaventosa e selvaggia. Il personale di cucina di Carmy adotta involontariamente lo spirito e la cultura della sua famiglia, incarnando in cucina il disordine della sua testa. Ma la cucina è pure un mezzo per organizzarlo applicando l’assetto marziale dell’alta gastronomia, che lo chef ha appreso lontano da Chicago.

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The Bear - seconda stagione

L’orso porta con sé connotazioni diverse, che catturano tutti i caratteri essenziali del racconto: è il desiderio di Carmy di difendere l’eredità di Michael, è l’amore di Michael per il fratello minore, è tutto il dolore che la famiglia gli ha causato, è l’impulso omicida e l’istinto di sopravvivenza, è la determinazione contro ogni previsione, è tutto quello che ama e che fugge, il rifiuto di concedersi la felicità per paura di rovinare tutto, è la libertà infranta contro i bastioni della necessità, il coraggio di resistere in gabbia perché davvero non può scappare altrove, è la rielaborazione intima di quello che lo divora, la montagna da scalare, la ‘mentalizzazione’ della sua bestia. Il ristorante diventa allora lo spazio in cui giocare col fuoco, bruciarsi le dita o tagliarsi, dove mettere ordine a un caos rinnovato, dove lavare eternamente quello che domani sarà nuovamente sporco, dove creare bellezza, delizia, magia, facendo gli alchimisti e sopravvivendo a tutte le fini del mondo.

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The Bear

Gli esperimenti culinari di Carmy diventano più che mai il tentativo ostinato di una realizzazione attraverso l’armonia e l’equilibrio, che è esattamente quello che la sua vita non può sopportare. Ma Christopher Storer non si arrende con lui e lo fa uscire dal guscio, imponendogli una relazione sentimentale che lo trascende. Se la serie lascia ai membri della sua cucina la possibilità di progredire in una ‘orizzontalità’ che magnifica l’individualità, il protagonista inciampa ancora negli ingranaggi tossici. Intrappolato in un’altra gabbia (una cella frigorifera), l’eroe passivo prova a ricomporre una famiglia, per illudersi di controllarla e di cavarne un atto creativo riparatore. Vanamente, l’orso non è ancora domato.

Autore

Marzia Gandolfi

Marzia Gandolfi (1971) è una “ragazza della Bovisa”. È cresciuta nei racconti di Testori e ha studiato nella città di Zurlini. Collabora stabilmente con MyMovies e resta duellante per sempre. Nel 2021 ha pubblicato con Bietti Kind of Blue. Barry Jenkins, variazioni sul corpo afroamericano e con Santelli Editore La forma dell’attore. È membro della Commissione selezionatrice dei cortometraggi per i premi David di Donatello e dal 2015 membro della giuria di Presente Italiano. Si occupa di serie TV per La Gazzetta del Mezzogiorno e di icone popolari per le riviste che amano le attrici e gli attori. Il suo eroe ha “gli occhi di ghiaccio”, il suo piccolo era più grande di lei. Nickname: la Tula.

La serie tv

locandina The Bear

The Bear

Commedia - USA 2022 - durata 29’

Titolo originale: The Bear

Creato da: Christopher Storer

Con David Zayas, Jeremy Allen White, Corey Hendrix, Bob Odenkirk, Jon Bernthal, Christopher Storer

in streaming: su Disney Plus