Mostra del cinema di Venezia 2023
Il Totoleone di Film Tv
PEDRO ARMOCIDA
Vorrei vincesse Hors-saison di Stéphane Brizé
Vincerà Povere creature! di Yorgos Lanthimos
EDDIE BERTOZZI
Vorrei vincesse El Conde di Pablo Larraín
Vincerà Povere creature! di Yorgos Lanthimos
CATERINA BOGNO
Vorrei vincesse La bête di Bertrand Bonello
Vincerà The Green Border di Agnieszka Holland
MASSIMO CAUSO
Vorrei vincesse La bête di Bertrand Bonello
Vincerà The Green Border di Agnieszka Holland
MARIUCCIA CIOTTA
Vorrei vincesse - nessun film
Vincerà Povere creature! di Yorgos Lanthimos
MARIA SOLE COLOMBO
Vorrei vincesse La bête di Bertrand Bonello
Vincerà Povere creature! di Yorgos Lanthimos
ADRIANO DE GRANDIS
Vorrei vincesse Evil Does Not Exist di Ryusuke Hamaguchi
Vincerà The Green Border di Agnieszka Holland
FIABA DI MARTINO
Vorrei vincesse La bête di Bertrand Bonello
Vincerà Memory di Michel Franco
SIMONE EMILIANI
Vorrei vincesse Hors-saison di Stéphane Brizé
Vincerà Evil Does Not Exist di Ryusuke Hamaguchi
ILARIA FEOLE
Vorrei vincesse Povere creature! di Yorgos Lanthimos
Vincerà The Green Border di Agnieszka Holland
MARCO GROSOLI
Vorrei vincesse Ferrari di Michael Mann
Vincerà The Green Border di Agnieszka Holland
ROBERTO MANASSERO
Vorrei vincesse The Green Border di Agnieszka Holland
Vincerà The Green Border di Agnieszka Holland
MATTEO MARELLI
Vorrei vincesse La bête di Bertrand Bonello
Vincerà Povere creature! di Yorgos Lanthimos
EMANUELA MARTINI
Vorrei vincesse Dogman di Luc Besson
Vincerà Povere creature! di Yorgos Lanthimos ex aequo The Green Border di Agnieszka Holland
GIONA A. NAZZARO
Vorrei vincesse La bête di Bertrand Bonello
Vincerà Povere creature! di Yorgos Lanthimos
LUCA PACILIO
Vorrei vincesse Finalmente l’alba di Saverio Costanzo
Vincerà Povere creature! di Yorgos Lanthimos
GIULIO SANGIORGIO
Vorrei vincesse La bête di Bertrand Bonello
Vincerà Povere creature! di Yorgos Lanthimos
ROBERTO SILVESTRI
Vorrei che vincesse Ferrari di Michael Mann
Vincerà Memory di Michel Franco
Le recensioni dei film in concorso
30 agosto
Comandante
di Edoardo De Angelis
I naufraghi non si lasciano affogare, anche se sono nemici, perché “Io sono un uomo di mare” scandisce con cadenza veneta Pierfrancesco Favino nella divisa di Salvatore Todaro, capitano del sommergibile Cappellini della Regia Marina militare, anno 1940. Edoardo De Angelis (Indivisibili) dirige e scrive (insieme a Sandro Veronesi) la vera storia dal libro Cuore del salvataggio di 26 marinai belgi dopo l’affondamento del mercantile fantasma Kabalo, in risposta a un colpo di cannone. Inquadrature ritagliate su primi piani, corpi ammassati, dialetti incrociati, e le migliori intenzioni con uno sguardo sghembo ai “blocchi navali” invocati dalla Lega & company. Ma il natante affonda sotto il peso di un mandolino, segno del bel paese e dell’orgoglio militare, sacrifici, denti stretti, retorica visiva. Già, perché Todaro, che entrerà nella X Mas, al capitano fiammingo risponde (tramite inutile interprete) così: “Perché vi ho salvati? Perché sono un italiano”. Vero. Italiani brava gente.
Mariuccia Ciotta, voto: 5
El conde
di Pablo Larraín
Augusto Pinochet è sempre stato il centro eluso del cinema di Larraín. Alla dittatura del generale cileno, iniziata con il colpo di stato del 1973 e formalmente terminata nel 1990, il regista ha dedicato una trilogia (Tony Manero, Post mortem, No - I giorni dell’arcobaleno), più un quarto film, Il club, che di quel mondo raccontava i resti. Fino a oggi, però, Pinochet non era mai stato mostrato da Larraín, laddove al contrario la sua figura anonima e opprimente aveva generato una continua riflessione sulle forme d’incarnazione e seduzione del potere nella storia e nelle immagini del ’900. Con El conde, finalmente (ma ce n’era bisogno?), Pinochet arriva al centro della scena, come un vampiro che ha finto di morire nel 2006 e che dopo secoli di vita ha scelto di andarsene per davvero, pur proseguendo a planare su Santiago in cerca di vittime a cui succhiare il sangue.
Nascosto su un’isola, l’ex presidente invecchiato ricostruisce l’entità del tesoro di famiglia con la moglie ancora innamorata, i cinque figli inetti e avidi, il fedele maggiordomo vampirizzato e una novizia venuta a rendicontare soldi e proprietà accumulate in anni di potere e di crimini. In un mondo fuori dallo spazio e dal tempo (e così simile a uno dei famigerati campi di prigionia della dittatura), Pinochet è il rimosso della storia contro-rivoluzionaria del mondo e del cinema stesso di Larraín, che in El conde infila buona parte della sua filmografia: nel maggiordomo fedele c’è l’eroe ignobile di Tony Manero e Post mortem, sempre interpretato da Alfredo Castro; nei figli sciatti si riconoscono i “figli della dittatura” di Il club; nella figura stessa Pinochet si scorge il gioco di camuffamenti e riconoscimenti di Neruda; nella giovane suora sorridente c’è la stessa inafferrabilità di Ema, presenza incongrua e moderna che rilegge il passato fuori da ogni ideologia... Il limite di El conde è proprio l’accumulo postmoderno e sbracato di elementi eterogenei, e di conseguenza la confusione narrativa, tra ripetizioni, cambi repentini e svolte di difficile comprensione.
Da un lato, dunque, Larraín aderisce pienamente alla logica “d’archivio” di Netflix (che produce), adattandosi ancora una volta a una forma narrativa classica (dopo il western di Neruda e l’horror di Spencer, il fantasy, con in più un’ironica voce narrante alla Barry Lyndon di cui sarebbe ingiusto svelare l’identità) e optando formalmente per una patina d’autore tutta di superficie, con l’elegante bianco e nero di Ed Lachman, la camera mobile in stile Iñárritu e i rimandi a Dreyer e al cinema europeo anni ’60. Dall’altro lato, però – ed è questo nonostante tutto il fascino del film – il regista usa ancora una volta Pinochet come emblema di una condanna eterna per il Cile e se stesso (sono noti i legami con la dittatura dell’influentissima famiglia Larraín...), riprendendo l’idea della ripetizione inequivocabile del male e riportando ogni vicenda umana, pubblica o privata che sia, a un punto d’inizio sperduto da qualche parte in un passato impossibile da emendare.
Roberto Manassero, voto: 7
31 agosto
Dogman
di Luc Besson
Arrestato dopo un violento incidente, Douglas, costume da drag indosso, è sottoposto a valutazione psichiatrica: racconta così la sua vita di bambino abusato e di come il suo amore per i cani gli ha restituito una dignità. Dogman - una sfida realizzativa (dirigere un’orda di cani non è una passeggiata) e tecnica (l’interazione tra attori e sfondi virtuali è avvenuta direttamente in camera) – suggerisce piste per poi smentirle: se il dialogo con la psichiatra (Jojo T. Gibbs) adombra il serial killer movie, il racconto dei traumi subiti dal protagonista ha il tono fumettistico della origin story di un villain. Ma al regista, sul tessuto dei generi citati, interessa ricamare il ritratto umanissimo di un personaggio complesso, delineandone il commovente percorso di riscatto e realizzazione personale. Costruisce così un appassionante, (in)verosimile racconto dominato da un Caleb Landry Jones da premio.
Luca Pacilio, voto: 7
Ferrari
di Michael Mann
Una parabola esistenziale sotto il segno di una pulsione di morte che si sublima nel culto della velocità e della perfezione tecnica. Non meraviglia che Cronenberg abbia inseguito il suo progetto Ferrari per anni. Mann stringe l’ossessione di Ferrari per la velocità all’interno di melò familiare decantato dove l’acribia filologica delle ricostruzioni storiche e d’ambiente contrasta volutamente con l’inautenticità dell’interpretazione – accademicamente perfetta – di Adam Driver e Penelope Cruz. Mann ricrea l’Italia di una volta come il sogno di una cultura di provincia che si affaccia sull’alba della tecnica e le macchine rosse che sfrecciano fra le colline si offrono alla stregua di un sogno nel quale la modernità emerge dalla terra come un incantesimo di metallo e carburante. Resta il sospetto di una distanza che evapora solo nella perfezione mercuriale della composizione delle corse.
Giona A. Nazzaro, voto: 7
The Promised Land
di Nikolaj Arcel
Danimarca, XVIII secolo. La vasta brughiera è il terreno di conquista di Ludvig Kahlen, capitano in disgrazia, ostinato a costruire una colonia in nome del Re in questa landa ostile e inospitale. Obiettivo: ricevere in cambio il titolo reale a cui tanto anela. Ostacolo: un violento nobile locale pronto a tutto pur di porre fine all’impresa. Ci sarà sangue. Dopo il pluripremiato Royal Affair e il passo falso hollywoodiano La torre nera, il danese Nikolaj Arcel torna a confrontarsi con il dramma in costume, orchestrando una solida narrazione sui temi dell’ambizione cieca e il suo fallimento, sulla violenza e i soprusi del potere. Ma la grandiosità del paesaggio stenta a farsi genuinamente epica oltre la confezione ultra-patinata e il carisma di Mads Mikkelsen da solo non basta per risollevare appieno le sorti di un film che si limita all’esposizione, pur competente, di vicende, trame e personaggi.
Eddie Bertozzi, voto: 6
1° settembre
Povere creature!
di Yorgos Lanthimos
E se la nostra società, protesa com’è verso il futuro, fosse il frutto di un aborto del passato, e segnatamente della società vittoriana, a propria volta frutto delle morbose magagne del capitalismo nascente, immortalate dal romanzo gotico britannico? E se noi, nel presente, avessimo il compito di redimere tutto questo? Toccante e ponderoso, come un romanzo vittoriano, Povere creature! esplora questa ipotesi con sbalorditivo rigore concettuale, con ancora maggiore pregnanza visuale (che scolpisce nel marmo, definitivamente, che cosa sia l’estetica digitale) e con un’abilità di sfruttare fisionomia e potenziale degli attori oggi senza pari. Un romanzo di formazione in cui una giovane, creata in laboratorio grazie all’impianto del cervello di un feto vivo nel corpo di una madre morta, diventa, per davvero, umana. Un genialissimo anti-Barbie, che farà ricredere chi ha sempre accusato Lanthimos di cinismo.
Marco Grosoli, voto: 9
Finalmente l’alba
di Saverio Costanzo
Il caso Wilma Montesi, ventunenne trovata morta sulla spiaggia di Torvaianica 70 anni fa, il 9 aprile del 1953, servì all’Italia per immaginare le ombre del discorso moralistico della politica (poi scagionato): feste, orge, droghe. Ed effetti collaterali. Costanzo immagina di salvarla e redimerla, la Wilma del suo multiverso, Mimosa, un’amica geniale a un passo da Io la conoscevo bene, candida che ama e sogna il cinema e si perde nella Cinecittà degli anni 50, incantata e usata da una diva americana e da una dolce vita in cui si muovono Piero Piccioni (coinvolto dai media al tempo del fattaccio), Alida Valli, nomi reali e alter ego di spettacolo e parlamento del tempo. Una Babylon nostrana, che non si limita ai dietro le quinte, ma reimmagina anche neorealismo e peplum. Ambizioso, prolisso, confuso. Un dato è certo: Fellini sta diventando un problema per il cinema italiano.
Giulio Sangiorgio, voto: 5
2 settembre
Adagio
di Stefano Sollima
“Adagio” come “proverbio” o come “tempo musicale”? La storia è usurata, il luogo comune, il tempo risaputo (per questo, proprio come nell’adagio, lo strumentista è chiamato a ornare sopra di esso). La sinossi è la solita, morale compresa: la mala non è più quella di una volta, tre leggende della Magliana sono coinvolte, vecchie, ammalate, caricaturali (un carnevale decadente: Mastandrea cieco, Servillo demente, Favino terminale), nella difesa di un giovane finito dentro una trama criminale di Roma capitale. Il noir è pece, copia di copia rassegnata, il determinismo meccanico, l’incedere scontato e dunque implacabile. Non servono psicologie, in questo proverbio. La questione è la maniera. Sollima si vuole neoclassico, come Melville, ma al ritmo della serialità. Cupo e americano, ma nel cinema italiano. Ci vuole del coraggio. Ma non sempre basta.
Giulio Sangiorgio, voto: 6
Maestro
di Bradley Cooper
Governare l’armonia delle note per Leonard Bernstein è un piacere naturale, ma la vita privata produce stonature: è la spaccatura classica della vita d’artista, e del biopic eretto sul conflitto fra l’ordine del matrimonio con l’attrice Felicia Montealegre (Carey Mulligan, precisa al millimetro) e le fughe del sentimento verso altri uomini. Debordanza e rigore trovano pace solo nell’ossessione musicale, che nel caso del compositore di West Side Story si manifesta muscolarmente: pane per l’istrionismo del regista & protagonista Bradley Cooper, che abbandonata la semplicità grezza dell’esordio (remake) A Star Is Born (Fuori Concorso a Venezia 2018) cerca una maturità (e una credibilità) autoriale spingendo su uno stile spericolato ma perdendosi a sua volta nell’indecisione fra canone (polveroso) e ritratto libero aperto al gioco di forma (sintesi che riuscì a Lin-Manuel Miranda con Tik, Tik... Boom!, sull’allievo Jonathan Larson).
Fiaba Di Martino, voto: 6
The Theory of Everything
di Timm Kröger
Nove anni dopo The Council of Birds, ecco l’opus n. 2 di Kröger (scoperto dalla SIC e collaboratore/compagno di Sandra Wollner): ancora un film storico (Grigioni, come in Lubo, 1962), e ancora un protagonista incompreso, una scomparsa (e più) a muovere gli eventi, una melodia spettrale, a riecheggiare in queste assenze (dite Badalamenti? Fate bene). La storia è quella di un fisico (di moda, direi) che lavora sul multiverso (di moda, direi) in un hotel d’alta montagna, tra grotteschi omicidi e inquietanti déjà vu. Sono un suo delirio o una congiura? La risposta è ironica e aperta, un remake di La jetée in una parodia spy movie, un Bava giallo in un set di Arnold Fanck, un omaggio a Hitch, al noir, alla tv sci-fi aggiornato all’agenda nerd del contemporaneo. Il metodo è quello di chi conosce Lynch (e ha visto il Soderbergh di Delitti segreti): una delizia (fine a se stessa? Sì, e allora?).
Giulio Sangiorgio, voto: 7
3 settembre
La bête
di Bertrand Bonello
Una donna (Léa Seydoux) e un uomo (George MacKay) colti nel tempo, nel 2044 di un mondo salvato dall’IA, nella Parigi della Belle Époque, nella Los Angeles del 2014 (tra Lynch e il dimenticato Crimini invisibili di Wenders). Sono sconosciuti, amanti, vittima, carnefice. La loro storia d’amore e di morte, di ripetizioni e di scarti, occupa le quasi due ore e mezza di un melodramma distopico (vagamente inspirato a La bestia di Henry James) che procede senza un preciso andamento narrativo, ma mesmerizza lo spettatore disposto a farsi trascinare dal suo ritmo dilatato ed estenuato. Dentro c’è tutto Bonello, i corpi ridotti a oggetto (ancora le bambole, dopo L’Apollonide e Coma), le vie misteriose del ricordo e del desiderio, le immagini come unica realtà – incerta, ambigua, riprodotta e riproducibile – per un mondo privato di ogni possibile senso e anche dell’idea che l’amore possa salvarlo.
Roberto Manassero, voto: 9
The Killer
di David Fincher
Metodo. Precisione. Nessuna distrazione. Nessuna empatia. È la filosofia del killer di David Fincher interpretato da Michael Fassbender, travolta, sfidata da un suo errore inaspettato. Un po’ troppo facile pensarla anche applicata, oggi, a questo film, prodotto da Netflix (che ha spesato una decina di brani degli Smiths in colonna sonora, altrimenti e da sempre inaccessibili) e firmato da un filmmaker che alla fine del secolo scorso, con Seven e The Game, ha intercettato meglio di altri l’importanza delle immagini e dei generi nella riproduzione della realtà. Un po’ troppo facile perché, francamente, scontato. Eppure The Killer è tutto lì: metodo, precisione; senza distrazioni, e senza empatia. Un impiego. Metodico, appunto; preciso. In ciò, perfetto. Gelido come una missione in solitaria dietro lauto pagamento. Il fallimento, inteso come glitch di sistema, è inaccettabile.
Pier Maria Bocchi, voto: 7
Il male non esiste
di Ryusuke Hamaguchi
In un villaggio montano, un «tuttofare» e la figlioletta rispettano le regole della natura, respirano al suo respiro, ne conoscono la lingua, i modi, le forme. L’acqua di sorgente è quel di cui sono fatti. Poi (eccolo!), il neoliberismo: un’ipotesi di glamping (glamour + camping), una riunione con attori per convincere il paesello ad aprirsi all’experience per chi è in cerca di greenwashing, cose che il luogo non può sopportare. Come ci si difende? Nato come visual per un progetto musicale della compositrice Eiko Ishibashi, è un film di placido realismo osservativo, perturbato emotivamente dalla colonna sonora, progressivamente straniato nel punto di vista (e in questo slittamento sta il miracoloso controllo formale, l’arte di questo regista), fino a un finale enigmatico sul piano del vero, ma limpido in quello del senso: è il film stesso a immaginare di fondersi con la logica di quella natura, con il suo sguardo, con la sua legge.
Giulio Sangiorgio, voto: 8
4 settembre
Priscilla
di Sofia Coppola
Priscilla nelle stanze ovattate di Graceland, come Marie Antoinette a Versailles: moglie-bambina afflitta dal tedio e dal desiderio inappagato (l’Elvis di Coppola è un dio del sesso sul palco, ma a letto si nega), la fanciulla-trofeo affonda e si confonde nell’arredamento di casa Presley (tana ludica e assurda come la mojo dojo casa villa del Ken di Barbie), lei stessa rimodellata e ritinteggiata secondo il volere del consorte-padrone. Dall’autobiografia di Priscilla, co-produttrice, Sofia Coppola distilla un teorema a tinte confetto sullo squilibrio di potere di una coppia divenuta icona, raccontando senza mezzi termini il grooming (la seduzione manipolatoria, droghe comprese) subìto dall’adolescente, in ideale double bill con l’Elvis di Lurhmann: il ciclo dell’abuso della star plagiata dal Colonnello si compie nella relazione tossica che Presley instaura a sua volta con Priscilla. Ideologico e affilato.
Ilaria Feole, voto: 8
5 settembre
Green Border
di Agnieszka Holland
Fra le foreste e le paludi in cui si perde il confine fra Polonia e Bielorussia, i corpi dei migranti vengono rimbalzati brutalmente da un lato all’altro della frontiera spinata, mercificati al pari di armi politiche nella guerra de facto fra il regime di Lukashenko e l’Unione Europea. Le parabole di una famiglia di rifugiati siriani, di una guardia di frontiera e di un’attivista per i diritti umani finiranno per intrecciarsi. Sprofondato in un bianco e nero tetrissimo, la veterana Agnieszka Holland firma il suo lavoro più riuscito da molti anni a questa parte. Un film esplicitamente politico, di sentito impegno civile e morale, che indigna e sostiene la sua portata emotiva senza cadere nelle trappole del ricattatorio, nonostante il peso di qualche sottolineatura drammatica e un generoso eccesso di durata. Il “film necessario” che scuote il festival e la cui urgente attualità non passerà inosservata.
Eddie Bertozzi, voto: 7
Enea
di Pietro Castellitto
Enea, eccentrico della Roma bene, e Valentino, l’amico crooner e pilota di piper, ficcatisi nel giro grosso della coca ne diventano consoli effimeri. La volontà di potenza però, disprezza il potere. È pura energia, dà intensità alle azioni, ignora il profitto. Un sì alla vita, ma da lasciare come è, col prete, i cani e il matrimonio... In più, Pasolini: la lingua italiana, atrofizzata tra fasci, burocrati e tv, va rianimata con dialetti, cabaret, gerghi e Renato Zero. Pietro Castellitto esegue il compito con pedanteria radicale. Tratta luci, parole, famiglia e Benedetta Porcaroli, come lo street artist le lettere dell’alfabeto. Le rigonfia, dilata, ripete, le fa esplodere. La cocaina, dal traffico caotico e ingestibile, guida questo road-gangster movie fatto strano per statuto tra uffici, ville agiate, piazza dei Mirti, la Cinecittà felliniana, madri suicide, fratelli pestati e locali diurni e notturni sempre più abietti, per sound e design. Produce Guadagnino.
Roberto Silvestri, voto: 6
6 settembre
Io capitano
di Matteo Garrone
Lo sguardo di Matteo Garrone si rivolge alla riva opposta di Gomorra e di tutti i suoi “goodfellas”, e, dice lui, fa un controcampo delle immagini viste in tv, dei senzanome che sbarcano sulle coste italiane. Seydou Sarr e Moustapha “Moussa” Fall, teenager senegalesi di quella Dakar dominata dalla ricca borghesia degli ex coloni francesi (per questo Cannes, dopo i cinque sì al regista, ha rifiutato il film?) vogliono andarsene da lì, e “firmare un autografo ai bianchi”. Saranno famosi. Già, perché non c’è più la guerra in Senegal, per il Casamance, ma solo il saccheggio di risorse e futuro. Seydou e Moussa, attori non professionisti, sono “emigranti economici”, ma non rischiano meno nel deserto giallo, la lunga carovana a piedi, i cadaveri sparsi sulla sabbia, e il tocco fiabesco della donna affranta che vola come un palloncino nelle mani del ragazzo pietoso. Dialoghi in wolof e francese, danze rituali inquadrate strette, primi piani su Seydou, diviso dal cugino ferito, sulla strada dell’Europa. Garrone non cede al fellinismo e nemmeno al cinema del reale, ma l’Africa è più scritta nell’espressione del piccolo senegalese. Pinocchio è diventato un bambino in carne e ossa (ancora Massimo Ceccherini sceneggiatore, insieme a Massimo Gaudioso e altri) e affronta le carceri libiche, l’ammasso umano, le torture, tutto sventagliato sulla faccia di Seydou, il resistente.
Per la prima volta in concorso a Venezia, Garrone sfoggia un’empatia che ricordiamo in Estate romana, al seguito del racconto La rotta di Mamadou, scritto da un ivoriano emigrato in Italia. “Io sono il capitano!”, il grido di trionfo sale dalla nave carica di richiedenti asilo. Fuori campo, Seydou, 17 anni, finirà nella lista dei “trafficanti di esseri umani”.
Mariuccia Ciotta, voto: 7
Origin
di Ava DuVernay
Come rendere “umana” e coinvolgente la trasposizione non di un romanzo, ma di un saggio di tenore sociologico? Ava DuVernay, per portare sullo schermo il libro Caste: The Origins of Our Discontents della premio Pulitzer afroamericana Isabel Wilkerson, sceglie di rendere narrativamente la genesi del volume attraverso un patinato mélo, che fa da cornice alla tesi della giornalista: ossia che il razzismo sistemico statunitense, l’Olocausto e la struttura delle caste in India siano connessi da una medesima cultura dell’oppressione e dell’esclusione sociale. L’impaginazione è scolastica, tra il pamphlet declamatorio e la pubblicità progresso, con abbondanza di ralenti, inerti frammenti storici e l’onnipresente voce narrante che rende il film poco più di un lungo podcast illustrato: forse eccesso di benintenzionato didascalismo, ma un vero passo falso, sia per la regista, sia per il Concorso veneziano.
Ilaria Feole, voto: 4
7 settembre
Lubo
di Giorgio Diritti
Grigioni, 1939. Lubo (Rogowski, corpo da coproduzione europea) è uno jenisch che sopravvive con spettacolini itineranti (travestito da bestia, rinato in donna, sempre in maschera) allestiti con la propria famiglia. Lo stato elvetico lo chiama a difendere i confini dai tedeschi, gli uccide la moglie, si prende i suoi figli. Per rintracciarli, Lubo sottrae l’identità a un contrabbandiere. Una nuova vita in maschera, anche nell’amore, vissuta sempre con un altro fine: placare il dolore primario, trovare la verità su bimbi di strada che il governo impone di rieducare sottraendoli alle famiglie. Da Il seminatore di Mario Cavatore, Diritti trae ancora una parabola su un uomo la cui morale non è riducibile agli schemi del tempo e dei luoghi che attraversa, lascia allo spettatore il cruccio sulla “giustizia”, denuncia un orrore storico che parla al presente. Ma sono tre ore di realismo piano e opaco, prive di scarti, sfinite dal proprio sedicente rigore.
Giulio Sangiorgio, voto: 5
Holly
di Fien Troch
Colta da un presentimento, Holly, un’adolescente semi-emarginata, rimane a casa da scuola proprio quando scoppia un incendio. Viene dunque bollata come strega dai coetanei. La sua ipersensibilità, tuttavia, la dota di strani poteri taumaturgici che si faranno sentire su un amico in odor di Tourette, su un’insegnante generosa alle prese con la sterilità, e su altri che, forse, hanno solo bisogno di empatia in un ambiente generalmente freddo, spento, ostile. Intimismo minimalista senza molte pretese, ma con qualche virtù formale. A fronte di più di qualche scena tirata via (troppe, forse), altre riescono a orchestrare luci, colori, montaggio, silenzi, angolazione e movimenti in modo da far intravedere per davvero un Mistero che nessun personaggio osa verbalizzare. Non riuscendo a dominarlo, Holly creerà mini-sconquassi talvolta delicatamente coinvolgenti, ma spesso troppo meccanici dal punto di vista narrativo.
Marco Grosoli, voto: 6
Woman of...
di Małgorzata Szumowska, Michael Englert
Non di marmo, né di ferro. E nemmeno uomo, ma Woman of... Il nuovo film di Malgorzata Szumowska e Michal Englert dialoga idealmente con gli eroi della Polonia (post)comunista raccontati da Vajda e scrive 45 anni di storia del paese sul corpo di una donna transgender, che lotta per se stessa. Il suo nome è Aniela, ma è nata come Andrej e conquista la sua identità affermandola in famiglia (una moglie e due figli) e nella società (il lavoro, i giudici). Szumowska e Englert sul corpo hanno scritto la mutevolezza delle relazioni e le mutazioni dei tempi (Body, Non cadrà più la neve, Un’altra vita). In Woman of... innestano un potente racconto di “riassegnazione” di genere nel contesto di un paese che, liberatosi del comunismo, si è consegnato all’estrema destra. La forma del dramma veste la presenza lieve e gentile di Aniela, la sua progressiva emancipazione, la dolcezza e la fermezza della sua affermazione: il tono è cupo, ma l’accento cade sul suo spirito libero.
Massimo Causo, voto: 7
8 settembre
Hors-saison
di Stéphane Brizé
Un famoso attore in crisi professionale e esistenziale. Un’insegnante di pianoforte insoddisfatta della sua vita di provincia. Innamorati molti anni prima, i loro percorsi di vita si sono separati, le tracce disperse, le ferite aperte lentamente rimarginate. Si rincontrano quasi per caso sulle cose piovose della Francia settentrionale e li travolge la malinconia. Sospesi fra panico e estasi, si immaginano vite passate, ripercorrono scelte fatte e strade non prese, le possibilità mancate, le sottili scorie del cuore. Conclusa la trilogia del lavoro (La legge del mercato, In guerra, Un altro mondo), Stéphane Brizé ci regala un film magnificamente borghese. Una storia di conversazioni sentimentali, una scrittura finissima che si anima fra introspezione e umorismo, guidata da Guillaume Canet e Alba Rohrwacher, protagonisti ispirati. Brizé si conferma una delle voci più preziose del cinema francese di oggi.
Eddie Bertozzi, voto: 8
Memory
di Michel Franco
Ricordare. Infinito presente, verbo imperfetto. Il passato diventa pensiero: vero, falso, confuso, inventato. Sylvia è un’ex alcolista, ha una figlia, ma del padre non sappiamo niente. Una sera è seguita fino a casa da un uomo, che dorme sotto la pioggia, davanti al suo portone. È Saul, senza memoria breve e incapace di capire cosa sta facendo. Sylvia lo accusa di molestie adolescenziali, ma è presto smentita. Sylvia e Saul si avvicinano, forse iniziano a volersi bene, forse la vita sta cambiando. Michel Franco trova la forza di amare finalmente i suoi personaggi, rischia di diventare perfino sentimentale. Memory è un ormeggio per due solitudini, è un rincorrere le proprie paure, per annientarle. Forse basta solo crederci, anche contro l’esitazione degli altri, amici e parenti, mentre il ricordo sfiorisce nel pallore della memoria. A whiter shade of pale.
Adriano de Grandis, voto: 7
I film in concorso
The Killer
Azione - USA, Francia 2023 - durata 113’
Titolo originale: The Killer
Regia: David Fincher
Con Michael Fassbender, Tilda Swinton, Kellan Rhude, Monika Gossmann, Sophie Charlotte, David Storm
in streaming: su Netflix Netflix basic with Ads
Memory
Drammatico - USA 2023 - durata 100’
Titolo originale: Memory
Regia: Michel Franco
Con Merritt Wever, Jessica Chastain, Peter Sarsgaard, Josh Charles, Elsie Fisher, Jessica Harper
Al cinema: Uscita in Italia il 07/03/2024
in streaming: su Amazon Video
Le occasioni dell'amore
Drammatico - Francia 2023 - durata 115’
Titolo originale: Hors-saison
Regia: Stéphane Brizé
Con Guillaume Canet, Alba Rohrwacher, Sharif Andoura, Emmy Boissard Paumelle
Al cinema: Uscita in Italia il 25/12/2024
Woman of...
Drammatico - Polonia, Svezia 2023 - durata 132’
Titolo originale: Kobieta z...
Regia: Malgorzata Szumowska, Michal Englert
Con Malgorzata Hajewska-Krzysztofik, Joanna Kulig, Bogumila Bajor, Mateusz Wieclawek
Holly
Drammatico - Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Francia 2023 - durata 102’
Titolo originale: Holly
Regia: Fien Troch
Con Cathalina Geraerts, Felix Heremans, Greet Verstraete, Serdi Faki Alici, Els Deceukelier
Lubo
Drammatico - Italia, Svizzera 2023 - durata 175’
Regia: Giorgio Diritti
Con Franz Rogowski, Valentina Bellè, Christophe Sermet, Noemi Besedes, Joel Basman, Oliver Ewy
Al cinema: Uscita in Italia il 09/11/2023
in streaming: su Now TV Apple TV Rakuten TV Google Play Movies Timvision Amazon Video
Origin
Storico - USA 2023 - durata 135’
Titolo originale: Origin
Regia: Ava DuVernay
Con Victoria Pedretti, Nick Offerman, Connie Nielsen, Jon Bernthal, Vera Farmiga, Niecy Nash
Io capitano
Drammatico - Italia, Belgio 2023 - durata 121’
Regia: Matteo Garrone
Con Moustapha Fall, Seydou Sarr
Al cinema: Uscita in Italia il 07/09/2023
in streaming: su Now TV Apple TV Rakuten TV Google Play Movies Amazon Video Microsoft Store
Enea
Drammatico - Italia 2023 - durata 115’
Regia: Pietro Castellitto
Con Pietro Castellitto, Benedetta Porcaroli, Giorgio Quarzo Guarascio, Chiara Noschese, Giorgio Montanini, Adamo Dionisi
Al cinema: Uscita in Italia il 11/01/2024
in TV: 21/12/2024 - Sky Cinema Drama - Ore 05.50
in streaming: su Apple TV Google Play Movies Now TV Sky Go Timvision Rakuten TV
Green Border
Drammatico - Polonia 2023 - durata 147’
Titolo originale: Zielona Granica
Regia: Agnieszka Holland
Con Behi Djanati Atai, Agata Kulesza, Maja Ostaszewska, Tomasz Wlosok, Piotr Stramowski, Jasmina Polak
Al cinema: Uscita in Italia il 08/02/2024
in streaming: su Rakuten TV Now TV Sky Go Timvision
Il male non esiste
Drammatico - Giappone 2023 - durata 106’
Titolo originale: Aku wa sonzai shinai
Regia: Ryûsuke Hamaguchi
Con Hitoshi Omika, Ryo Nishikawa, Ryuji Kosaka, Ayaka Shibutani
Al cinema: Uscita in Italia il 06/12/2023
in streaming: su Amazon Video Apple TV Mediaset Infinity Google Play Movies Rakuten TV
Comandante
Drammatico - Italia 2023 - durata 120’
Regia: Edoardo De Angelis
Con Pierfrancesco Favino, Massimiliano Rossi, Silvia D'Amico
Al cinema: Uscita in Italia il 31/10/2023
in streaming: su Paramount Plus Apple TV Channel Apple TV Mediaset Infinity Amazon Video Google Play Movies Netflix Netflix basic with Ads
The Beast
Fantascienza - Francia, Canada 2023 - durata 145’
Titolo originale: La Bête
Regia: Bertrand Bonello
Con Léa Seydoux, George MacKay, Tiffany Hofstetter, Guslagie Malanda, Julia Faure, Philippe Katerine
Al cinema: Uscita in Italia il 21/11/2024
The Theory of Everything
Drammatico - Germania 2023 - durata 118’
Titolo originale: Die Theorie von Allem
Regia: Timm Kröger
Con Jan Bülow, Olivia Ross, Hanns Zischler, Gottfried Breitfuss, David Bennent, Philippe Graber
Maestro
Biografico - USA 2023 - durata 129’
Titolo originale: Maestro
Regia: Bradley Cooper
Con Bradley Cooper, Maya Hawke, Carey Mulligan, Matt Bomer
Al cinema: Uscita in Italia il 06/12/2023
in streaming: su Netflix Netflix basic with Ads
Adagio
Giallo - Italia 2023 - durata 127’
Regia: Stefano Sollima
Con Pierfrancesco Favino, Toni Servillo, Adriano Giannini, Valerio Mastandrea, Gianmarco Franchini, Francesco Di Leva
Al cinema: Uscita in Italia il 14/12/2023
in streaming: su Apple TV Now TV Sky Go Google Play Movies Netflix Netflix basic with Ads Rakuten TV Amazon Video
Finalmente l'Alba
Drammatico - Italia 2023 - durata 140’
Regia: Saverio Costanzo
Con Rebecca Antonaci, Lily James, Willem Dafoe, Rachel Sennott, Joe Keery
Al cinema: Uscita in Italia il 14/02/2024
in TV: 27/12/2024 - Sky Cinema Drama - Ore 23.50
in streaming: su Apple TV Rakuten TV Google Play Movies Now TV Timvision Amazon Video
Povere creature!
Fantascienza - USA, Irlanda 2023 - durata 141’
Titolo originale: Poor Things
Regia: Yorgos Lanthimos
Con Willem Dafoe, Margaret Qualley, Emma Stone, Christopher Abbott, Mark Ruffalo, Kathryn Hunter
Al cinema: Uscita in Italia il 25/01/2024
in streaming: su Disney Plus Apple TV Rakuten TV Google Play Movies Microsoft Store Amazon Video Timvision
La terra promessa
Biografico - Danimarca, Norvegia 2023 - durata 127’
Titolo originale: Bastarden
Regia: Nikolaj Arcel
Con Mads Mikkelsen, Gustav Lindh, Amanda Collin, Kristine Kujath Thorp, Magnus Krepper, Lise Risom Olsen
Al cinema: Uscita in Italia il 14/03/2024
in streaming: su Rakuten TV Now TV Timvision
Ferrari
Biografico - USA 2023 - durata 130’
Titolo originale: Ferrari
Regia: Michael Mann
Con Shailene Woodley, Adam Driver, Penélope Cruz, Sarah Gadon, Patrick Dempsey, Jack O'Connell
Al cinema: Uscita in Italia il 14/12/2023
in TV: 21/12/2024 - Sky Cinema Drama - Ore 11.55
in streaming: su Now TV Amazon Prime Video Apple TV Google Play Movies Mediaset Infinity Rakuten TV Microsoft Store Amazon Video Timvision
Dogman
Drammatico - USA 2023 - durata 114’
Titolo originale: DogMan
Regia: Luc Besson
Con Caleb Landry Jones, Jojo T. Gibbs, Marisa Berenson, James Payton, Christopher Denham, Michael Garza
Al cinema: Uscita in Italia il 12/10/2023
in streaming: su Now TV Sky Go Apple TV Google Play Movies Rakuten TV Amazon Video Timvision
El conde
Commedia - Cile 2023 - durata 110’
Titolo originale: El conde
Regia: Pablo Larrain
Con Alfredo Castro, Paula Luchsinger, Gloria Münchmeyer, Jaime Vadell
in streaming: su Netflix Netflix basic with Ads
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