Succede tutto quando Rosemary si taglia i capelli. A metà film, mentre attraversa i primi mesi di gravidanza che l’hanno paradossalmente e assurdamente inscheletrita: Rosemary va a tagliarsi i capelli, per apparire più alla moda. Un taglio netto che la sveste della capigliatura da mogliettina borghese per bene. La reazione del marito, Guy, è esemplare di come Rosemary, in tutto Rosemary’s Baby, venga percepita dagli altri: infatti lui dichiara che la capigliatura è orribile, quando ad essere evidentemente orribile è lo stato di Rosemary, diventata un “pezzo di gesso” ambulante, pallida come un morto. Quel taglio di capelli è il paradosso, il carattere che distrae dal resto, l’improvvisato capro espiatorio del “brutto aspetto” di Rosemary. Il modo, dunque, in cui una decisione precisa e indipendente di Rosemary (gravidanza compresa) viene digerita, rielaborata e risputata da tutto il mondo che la circonda, il mondo normale a cui lei anela (nel suo voler essere alla moda) e dentro cui invece è incastrata.
C’è poco di horror tout court in Rosemary’s Baby, e se c’è, dell’horror, allora è tutto nell’incapacità di Rosemary di allontanarsi da questo limbo fra il desiderio di normalità e la sua fuga dalla stessa. Questo allontanamento non può che risolversi in un altro paradosso, che è il finale dell’intramontabile classico di Roman Polanski: il fatto che la normalità esista anche dopo la dimostrazione diretta dell’esistenza del Male. Anche dopo che Rosemary ha un faccia a faccia con il fuoricampo perenne e assoluto del film, il vero McGuffin: suo figlio.
Nel finale Rosemary scopre che dietro degli scaffali si cela una porta che mette in contatto diretto il suo appartamento e quello dei suoi vicini, Roman e Minnie, che l’hanno “aiutata” a loro modo durante la gravidanza con i loro intrugli stregoneschi.
Rosemary, da sempre diffidente, nel finale del film è ormai convinta, come tutti noi, del complotto recato ai suoi danni da loro, dal marito attore avido di successo e dal resto della congregazione di anziani parrucconi che bazzicano intorno al mitico palazzo Bramford di New York. Scoperta dunque la scorciatoia, Rosemary, armata di coltello, si inoltra nel salotto dei vicini dove la comunità di streghe sta festeggiando la nascita del figlio di Satana. Per inciso, sorseggiando cocktail e chiacchierando in pose borghesi altolocate, stilizzate e stereotipate.
Rosemary, che col coltello sta squarciando il già più che bucherellato velo di Maya, vede finalmente suo figlio, riconosce dagli occhi chi è il vero padre (che lei ha visto solo in un confusionario stato di sonno e veglia nove mesi prima) e urla disperata mentre Roman le illustra finalmente, a chiare lettere, la verità, di come lei sia stata usata e ingannata per tutto quel tempo.
Ma Polanski non chiude il film con questo urlo, o con l’accecante disperazione di Rosemary.
In realtà dopo il big reveal Rosemary si siede, si guarda attorno e vede suo figlio circondato e apprezzato come se si trattasse di qualsiasi altro bambino. Dopo aver sputato in faccia a Guy, che rivela la bassezza materialistica delle sue scelte con un breve monologo spregevole e superficiale,
Rosemary posa la tazza di tè che le ha passato Minnie (una normale tazza di tè questa volta) e raggiunge la culla. Lì l’anziana Laura-Louise le fa una smorfia grottesca quando Roman la obbliga a lasciar avvicinare Rosemary. E proprio lì, proprio con Roman, avviene il dialogo che rivela il grottesco ritorno alla normalità del film. Quasi la summa dei capovolgimenti ironici di cui Polanski ha crudelmente ricoperto tutto il film: Rosemary che chiede a Roman se le sta chiedendo di fare da madre al figlio di Satana, e Roman che le chiede se non lo sia già, volente o nolente.
E quindi ci avviciniamo allo sguardo di Rosemary. È intenerita dalla bestia dentro la culla nera e incapace di smentire la dichiarazione di Roman, un vero emissario del Male che però le assicura che può fare solo la madre, e non deve necessariamente aderire alla setta. Un vero exploit di paradossi ironici, risolti in pochi scambi di battute, a rivelare che non c’è da aspettarsi chissà che spettacolo dalla venuta dell’Anticristo. New York, dall’alto, come nell’inquadratura finale del film – speculare a quella iniziale – non è cambiata nemmeno di una virgola. La patina del mondo normale assorbirebbe qualsiasi abisso.
Il film
Rosemary's Baby
Horror - USA 1968 - durata 136’
Titolo originale: Rosemary's Baby
Regia: Roman Polanski
Con John Cassavetes, Mia Farrow, Ruth Gordon, Elisha Cook
in streaming: su Google Play Movies Rakuten TV Apple TV Timvision Paramount Plus Paramount Plus Apple TV Channel
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