Con il consueto co-sceneggiatore Mauricio Zacharias, Ira Sachs fa d’abitudine film su un privato svuotato di senso. Lo era anche Frankie (2019), che a Cannes 72 lasciò interdetta buona parte della critica per la sua levità apparentemente banale. Ma è proprio sulla banalità che Sachs lavora: la banalità non soltanto del giorno ma di un’idea, per quanto corretta; di una convinzione, per quanto necessaria; di una decisione, benché inevitabile. Banalità dunque quale sicurezza, illusione, ovvietà. Anche, naturalmente, la banalità dei sentimenti. La loro presumibilità. Tuttavia Sachs non è un cinico: basta vedere Little Men (2016), che è splendido tanto è terso.
Sachs è piuttosto un coscienzioso. Un onesto. Perché capisce che la banalità è insidiosa proprio per la sua fatalità. Perché non può essere evitata. Perché fa parte di noi, che la mettiamo in pratica e la viviamo malgrado le buonissime intenzioni. Perché ci caratterizza. Ci definisce. La banalità di un amore (e non della coppia in quanto istituzione, che sarebbe scontato). La banalità del tradimento. La banalità del ritorno, del perdono, della tentazione, del distacco, del rifiuto, persino dell’odio. Della fine. Nei suoi film queer, e in modo particolare in Keep the Lights On (2012) più che nel modesto I toni dell’amore - Love Is Strange (2014), Ira Sachs questa banalità la guarda evolversi, prendere il sopravvento sui migliori progetti possibili, dire la sua, chiudersi. E chiudere, infine, i conti, quelli in sospeso e quelli che si crede con forza eterni.
A Parigi Tomas (Franz Rogowski) tradisce il marito Martin (Ben Whishaw) con Agathe (Adèle Exarchopoulos). Non ci sono facili spiegazioni. Non ci sono prevedibili ragioni di genere. È più, e meno, di un impulso del momento. È, appunto, una cosa banale. Come sono banali gli effetti, la gravidanza di Agathe, il conseguente tradimento di Tomas da parte di Martin, le velleità di un domani diverso. Ed è banale, perché ineluttabile, l’esito. Passages, sì. Passaggi banali. Movimenti, transizioni, spostamenti banali. Sesso banale, anche quando vero: la lunga scopata riparatrice tra Tomas e Martin è una delle più grandi scopate che io ricordi nel cinema “a tema” contemporaneo. Tanto che l’after sex, il dopo, l’indomani, assume una banalità ancora più evidente, e più determinante per le sorti dei singoli lati di un triangolo sentimentale destinato in partenza a spezzarsi.
Nessun sentimentalismo, però; nessun mélo. La retorica della banalità implica anche che il suo attraversamento sia spietato. Freddo. Antipatico. Che i suoi passages siano gelidi come un inverno perpetuo. Non è semplice nemmeno articolarla a parole, questa incoercibile banalità. Gli abbandoni infatti sono espressi, detti, senza enfasi, senza drammaticità. Così come le verità, le rinunce, gli allontanamenti. Anche il dialogo è banale. E lo è pure l’eccezione, come quella che riguarda un gay a letto e in una relazione con una donna. Una singolarità banalissima. Che finisce e scompare come è giusto, e banale, che sia.
Il film
Passages
Drammatico - Francia, Germania 2023 - durata 91’
Titolo originale: Passages
Regia: Ira Sachs
Con Ben Whishaw, Adèle Exarchopoulos, Franz Rogowski, Erwan Kepoa Falé, Radostina Rogliano
Al cinema: Uscita in Italia il 17/08/2023
in streaming: su MUBI Apple TV Rakuten TV
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