Tre streghe (come le Tre Parche o le streghe di Macbeth) appaiono nel cielo; rivogliono la pentola magica che hanno barattato poco prima col giovane Taron in cambio della sua potente spada. Ma il menestrello Sospirello non ci sta: le megere, che dicono di non dare niente per niente, cosa hanno da offrire in cambio?
Taron deve scegliere: riavere la sua spada e diventare il grande guerriero che ha sempre sognato di essere durante tutti gli anni spesi nell’anonimato a badare a una maialina. O può far resuscitare lo strano animaletto Gurghi che, dopo essere stato tacciato di vigliaccheria, ha sacrificato se stesso gettandosi nella pentola e salvando l’intero regno dalle grinfie dello spietato Re Cornelius.
Taron sceglie l’anonimato e sceglie l’amicizia, trova classicamente l’amore e si rassegna forse a una vita antieroica. Lo vediamo allontanarsi col menestrello e l’amata Ailin e col redivivo Gurghi mentre la visione si rivela tale all’interno di una bacinella d’acqua dove la visionaria maialina Eve mostra al vecchio Dalben, che ha cresciuto Taron, che il ragazzo finalmente ha trovato la sua strada.
Taron e la pentola magica è il classico Disney che alla sua uscita nel 1985 riscosse il minor successo di critica e pubblico ed è facile capire perché: è un corpo estraneo nella poetica e nell’estetica della puritana casa dei sogni di papà Walt, intenta da decenni a fornire immagini edificanti e “rotonde” a una platea di giovanissimi, ponendosi sempre in una posizione pedagogica, quasi ex cathedra, con tutti i lampi di genio ma anche le storture del caso.
Il film è infatti una macabra storia fantasy per giovani adolescenti, con forti venature horror, peraltro smorzate dai poderosi tagli imposti dopo la famigerata proiezione di prova. La fattura è pregevole: i registi sono Ted Berman, che si occuperà poi di Red e Toby nemiciamici, e Richard Rich che traspone parte del grottesco di questo film nella saga de L’incantesimo del lago. Molti effetti sono in CGI (è la prima volta per un prodotto Disney), molte reminiscenze estetiche provengono direttamente dalla lezione di Ralph Bakshi e senza dubbio dal suo Signore degli anelli di pochi anni prima, così come sono illustri alcuni collaboratori: John Hurt presta la voce all’inquietante Re Cornelius, maschera della morte fatta apposta per turbare i sogni degli infanti, e il narratore del prologo è addirittura il regista John Huston.
Nonostante l’insuccesso il film ha acquisito negli anni lo statuto di cult proprio in forza della sua aliena capacità di raccontare una storia fatta di tanti piccoli antieroi con spirito di sacrificio, a partire da Gurghi, uno Smeagol irritante e che sembra agire solo per convenienza salvo poi scoprire il valore della immolazione. Tutti i personaggi saggiamente scappano davanti all’orrore, perché affrontarlo senza conoscenza o esperienza è da stupidi (come suggerisce Dalben a un Taron ancora imbevuto di fantasie cavalleresche). Ma sanno riconoscere i valori fondamentali quando è l’occasione, come appunto nel finale davanti alle streghe, in pieno stile disneyano: in fondo questo film bistrattato è un modo per trasmettere il solito messaggio di sempre ma battendo un’altra via, più insidiosa, meno accomodante. Un corpo estraneo, in parte. È bastato così poco per respingere un paese avanzato e democratico?
Il film
Taron e la pentola magica
Animazione - USA 1985 - durata 80’
Titolo originale: The Black Cauldron
Regia: Ted Berman, Richard Rich
in streaming: su Disney Plus Apple TV Amazon Video Timvision
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