Un grande film sull’infanzia è un film che l’infanzia la guarda dal di dentro, e guarda il mondo nel modo in cui è deformato dall’infanzia nelle sue varie possibili forme. Che poi forse deformazione non c’è affatto: se è vero che le piccole Satsuki e Mei fanno amicizia con Totoro, e se è vero che – come dice il padre delle bambine – un tempo l’uomo e gli alberi erano amici, allora forse la deformazione è quella data dalla percezione degli adulti. Non sono i bambini ad “aggiungere” alla realtà; sono gli adulti che “tolgono”, smettono di vedere e di sentire, e custodiscono ciò che hanno sentito e visto da bambini nella loro memoria. Forse in questo senso la casa in cui Satsuki e Mei si trasferiscono col padre è una casa di fantasmi: nessuno ci è morto, se non l’infanzia di qualcun altro.
A tre ore a piedi da quella nuova casa immersa nella natura c’è l’ospedale in cui la madre delle bambine è ricoverata per problemi presumibilmente polmonari. Il padre si divide fra le bambine, le visite all’ospedale e il lavoro di ricerca all’università, mentre Satsuki inizia la sua nuova vita nella scuola locale e Mei esplora la natura, a diretto contatto con gli spiriti del bosco. In armonia con un gigantesco organismo vivente e verde, i cui respiri sono letteralmente i soffi del vento.
Quando arrivano un telegramma e una telefonata da parte dell’ospedale, per comunicare che un raffreddore blocca la madre a letto e non le permette di trascorrere il weekend a casa, ha inizio il dramma finale del Mio vicino Totoro, che è un dramma tutto ad altezza bambino: Mei non accetta che la madre non possa tornare per quei due giorni e scappa via, scomparendo dalla vista di chiunque – Satsuki compresa. Il dramma è, dal punto di vista degli adulti, evidentemente esagerato: la madre ha solo un raffreddore e non vale la pena rischiare, la malattia non prevede imminenti peggioramenti e il weekend in famiglia è semplicemente rimandato. Ma Mei è cocciuta e non lo accetta, e quindi comincia a correre nella direzione dell’ospedale per consegnare alla madre la pannocchia che ha raccolto lei stessa da un orto.
Nessun occhio adulto o adolescente è in grado di trovare Mei, e soprattutto l’occhio adulto sospetta il peggio quando una misteriosa calzatura per bambini viene trovata in uno stagno, lasciando intendere un possibile affogamento. Satsuki esclude che la scarpina sia di Mei, e solo a quel punto capisce che per trovare Mei deve guardare il mondo con altri occhi: chiedere aiuto a Totoro, e quindi al mitico autobus-gatto che sarà in grado di trovare la bambina semplicemente cambiando il proprio capolinea. Non c’è idea di una fantasia fuori dalla realtà che regga: la bambina viene trovata.
E non è neanche fantasia la pannocchia con inciso “Per mamma” che i genitori delle bambine trovano sul davanzale della finestra accanto al letto della madre in ospedale. Le bambine non si vedono, ma la pannocchia è fisicamente arrivata a destinazione. Con le enormi zampate dell’autobus felino le bambine sono pure tornate a casa subito dopo, gli adulti del luogo le hanno riaccolte e gli animi si sono tranquillizzati. Dunque è difficile definire tutto quanto un sogno: le bambine hanno fatto un viaggio reale, e gli adulti hanno assistito alle conseguenze di quel viaggio, percependo solo in parte ciò che è accaduto davvero.
L’idea che l’occhio infantile renda la realtà più vera, dunque più complessa e non più semplice di quello che è: questo è il concetto che governa il cinema di Hayao Miyazaki e che trova il suo equilibrio perfetto nel ritorno finale di Mei e Satsuki a casa loro. È lo spirito che governa l’intero Mio vicino Totoro, non quello di trovare avventura dove non c’è, ma di comunicare con candore ineguagliabile che la quotidianità in realtà non esiste.
Il film
Il mio vicino Totoro
Animazione - Giappone/USA 1988 - durata 86’
Titolo originale: Tonari no Totoro
Regia: Hayao Miyazaki
Al cinema: Uscita in Italia il 18/09/2009
in streaming: su Apple TV Netflix Netflix basic with Ads
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