Impossibile (o quasi) per il cinema filmare il cuore del desiderio. Troppo invisibile, troppo pericoloso, tocca accontentarsi di quello che resta intorno, le manifestazioni visibili e rassicuranti dell’amore, senz’altro appassionanti ma lontane dal centro. Eppure ogni tanto qualche temerario ci prova e tenta la sorte ‘oltre l’arcobaleno’. Con Cuore selvaggio, adattamento del romanzo omonimo di Barry Gifford, David Lynch era a un bivio. Ancora coi piedi nella realtà, nell’evidenza, nella speranza di una tenerezza possibile, ancora aggrappato a una storia, si avvicinava progressivamente a un cinema più astratto e violento, quello che precipiterà nell’oscurità della mente, intrappolata dai suoi fantasmi lungo strade perdute.
I mattoni gialli che lastricano ancora Cuore selvaggio salteranno, rivelando ed esplorando un terreno impervio, senza limiti e ripari. Nicolas Cage, che canta Love Me Tender in piedi sul cofano di una macchina a Laura Dern, è sull’orlo di un precipizio nel quale, dopo Twin Peaks e Fuoco cammina con me, sprofonderà senza ritorno Lost Highway. Lynch ci trascinerà giù con lui in un labirinto di paure dove le mirabili composizioni cromatiche del suo cinema proveranno a farci dimenticare la luce della superficie. Due anni dopo, ci curerà da quel tuffo asfissiante, andando in giro col suo tosaerba per i campi di grano americani (Una storia vera), ma ormai il danno è fatto.
Lynch avanza a grandi falcate nel regno del terrore che del resto non manca mai di argomenti e di mezzi espressivi. L’amore sincero che unisce Sailor e Lula, salvati in extremis dal disastro, rimarrà un’isola insperata nella sua filmografia. Come i giovani eroi di Velluto blu, gli amanti di Cuore selvaggio lottano contro la perversione degli adulti, contro l’insondabile corruzione che li circonda e trionfano per un attimo, il tempo di una canzone di Elvis Presley. Forse è per questo che rivedendolo oggi Cuore selvaggio appare così nostalgico e fragile. Così desolato.
Ma cominciamo dall’inizio, da due fiammiferi che accendono lo schermo e lo divorano sulle note di Richard Strauss (Im Abendrot). Una fiammata dopo sfumano in quelle di Glenn Miller (In the Mood), che riempiono le volte dell’hotel Cape Fear, spazio di tensione “tra la Carolina del Nord e la Carolina del Sud”, e ridiscendono con la m.d.p. sulla terra dove un uomo e una donna si amano perdutamente.
A questa bella equazione amorosa bisogna aggiungere una madre castratrice travolta dall’odio per il fidanzato di sua figlia, che vuole solo uccidere. Ma non sarà lui a morire nell’ouverture, avvicinato dal complice dell’erinni, Sailor sfugge alla coltellata del sicario e gli spacca il cranio sulla roboante Slaughterhouse dei Powermad, che corrisponde la brutalità scatenata del pestaggio e le urla reattive di Lula.
Il brano esprime una forma di schizofrenia, quella dell’eroe, a cui resta associato tornando più avanti nel film. In tutte le occasioni in cui ‘suona’, Slaughterhouse segnala la liberazione dell’energia sessuale e di una forza fisica selvaggia, come in questo preludio che finisce in un bagno di sangue e rinvia tanto alla passione della coppia centrale quanto alla pulsione di morte del mondo materiale che l’assedia.
Il film svilupperà costantemente questa ambivalenza attraverso la propagazione del fuoco, motivo unificante dichiarato nei titoli di testa e punto di partenza di questa storia sinuosa. Incendio lirico e principio di morte che unisce la coppia ma allo stesso tempo la minaccia. Il fuoco divampa e Lula urla mentre Sailor si accende la prima sigaretta e punta il dito contro la (vera) colpevole. 22 mesi e 18 giorni dopo, Sailor esce di prigione e chiama Lula, la ragazza gli porta la sua giacca di pelle di serpente, precipitato del Brando di Tennessee Williams e “simbolo della sua individualità e della sua fede nella libertà personale”, e insieme bruciano in un alone di luce rossa.
Se Slaughterhouse è in definitiva il leitmotiv dello sfogo fisico, la musica di Strauss gioca un ruolo essenziale nella forma complessiva di Cuore selvaggio. Sempre extradiegetica, appare all’inizio, ‘incisa’ sugli opening credits, per poi ripetersi a metà della narrazione (sui tramonti) e sugellare alla fine il ricongiungimento degli amanti. A immagine della sua partitura, il film è dominato da rotture di tono, torna indietro e mostra il mostro di Lula (lo ‘zio’ abusante) e un’automobile in fiamme. Come sempre con Lynch, i pezzi del puzzle vanno lentamente al loro posto e la storia si (ri)compone. Frammenti, immagini incendiarie che nascono dal caos della fine degli anni Ottanta, dalla disintegrazione del blocco comunista e dal trionfo del conservatorismo americano.
In quell’inferno, Lynch vuole mettere in scena una storia d’amore che unisce due esseri dal cuore puro. Sailor, ragazzo impulsivo, e Lula ragazza “calda come l’asfalto della Georgia” e le strade che infileranno questi due amanti inseguiti da un detective maldestro (Harry Dean Stanton) e un killer terrificante (Willem Dafoe con delle protesi dentarie raccapriccianti), entrambi ingaggiati da Marietta (Diane Ladd) per farla finita con Sailor. Scopriremo in un ennesimo flashback che l’odio della donna per il ragazzo è causato dal rifiuto di fare l’amore con lei. Ma Nicolas Cage e Laura Dern formano una coppia infiammabile, inversa alle regole hollywoodiane, che niente e nessuno può disfare, né la perversità di Bobby Peru, né i piani diabolici della ‘malvagia strega dell’Ovest’.
Tra le mani di David Lynch, che spinge più in là il polar neo-noir di Gifford, Cuore selvaggio diventa una variazione sul tema del Mago di Oz, la fuga perpetua, gli incontri che promettono bene o giurano la morte, le scarpe rosse di Lula, l’annullamento della frontiera tra realtà e fantasia. Se alcune sequenze sono quasi insostenibili (l’omicidio del debutto, l’incidente stradale...), questo road-movie barocco è a suo modo una commedia (musicale), accompagnata da una colonna sonora che mescola gli incubi melodiosi di Angelo Badalamenti col rock metallico, siamo negli anni Ottanta, con perle jazz e qualche classico del 1950. Perché Sailor e Lula vogliono soprattutto ballare, lui canta con una bella voce da crooner rock e lei si infiamma, fanno l’amore e poi di nuovo un flashback: il padre di Lula si dà fuoco.
Sulla strada per New Orleans, dove terminerà la fuga verso Sud, è soprattutto il fantasma di Elvis a incalzare il protagonista, ad abitarlo, ma nella versione glamour e standardizzata prodotta dall’industria dello spettacolo. L’ondeggiare di Sailor, gli ammiccamenti, persino l’inclinazione della testa che favorisce la gravità del ciuffo si basa come la performance di Cage su un catalogo di atteggiamenti mimici che rimandano all’Elvis degli anni Sessanta, normalizzato da Hollywood in 31 film. Le pose di Cage e la sua maniera codificata di guidare, fumare o vestire hanno come ancoraggio nostalgico il rocker incendiario che ha finito per conformarsi alle aspettative della maggioranza. Elvis Presley funge indiscutibilmente da modello per il personaggio di Sailor. Più direttamente, Sailor esegue due canzoni del 1956, epoca dell’apparizione di Elvis.
Con una sola sfumatura, i loro titoli sono simili: la prima Love Me si produce durante il concerto dei Powermad che ‘accordano’ la performance di Sailor e una canzone che ha un approccio doloroso (e supplice) all’amore; la seconda Love Me Tender arriva alla fine del film e dopo un pestaggio da cui questa volta il protagonista esce perdente. Col naso pestato e i capelli scapigliati, canta questa canzone piena di promesse eterne e di sogni avverati, disinnescando per sempre l’associazione brutalità e amore.
Questo disinnesco della violenza si riflette nel trucco oltraggioso di Nicolas Cage, al limite del cartoonesco. Lynch sembra condividere l’opinione di Adorno secondo cui la cultura di massa contiene il marchio intrinseco della propria “derisione”. Il personaggio di Sailor è di fatto un eroe per imitazione. Privo di sostanza propria, esprime le sue emozioni più intense soltanto attraverso la riproduzione irrisoria di modelli del mondo dello spettacolo. Per chiudere il cerchio, la sua attitudine fa eco alla “gigantesca contraddizione” che Greil Marcus rimproverava a Elvis nel libro più bello mai scritto sulla musica (e la cultura) rock (Mystery Train, 2001). The King rifiuterà di prendere sul serio il suo status di mito, voltandolo in caricatura sullo schermo e sul palcoscenico di Las Vegas, passando da rocker a crooner, da figura ribelle a star rassicurante che malgrado tutto amiamo teneramente.
“Treat me like a fool/Treat me mean and cruel/But love me...”, parole di Elvis e della fata buona del Sud.
Il film
Cuore selvaggio
Noir - USA 1990 - durata 124’
Titolo originale: Wild at Heart
Regia: David Lynch
Con Nicolas Cage, Willem Dafoe, Laura Dern, Diane Ladd, Harry Dean Stanton, Isabella Rossellini
in TV: 22/12/2024 - Iris - Ore 04.15
in streaming: su Apple TV Google Play Movies Amazon Video Microsoft Store
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