Il pianista Marc (David Hemmings) torna di nuovo sul luogo del primo delitto perché la soluzione del mistero non gli torna: non può essere il suo collega Carlo (Gabriele Lavia) l’omicida perché era con lui quando hanno sentito le urla della prima vittima, la sensitiva Helga Ulmann. Quel quadro mancante, quella strana immagine che non ricorda più potrebbe svelare l’assassino.

Vediamo di nuovo il piano sequenza attraverso il corridoio di casa Ulmann, sulle pareti i macabri quadri, e poi a sinistra uno specchio! Marc ha un’illuminazione: non aveva visto un quadro ma l’immagine riflessa dell’assassina. Si volta di scatto e vede l’anziana madre psicopatica di Carlo (l’icona del cinema classico Clara Calamai): in un breve flashback ci viene mostrato l’episodio scatenante la catena di omicidi, che abbiamo già visto nel prologo in un’inquadratura ad altezza piedi.

Poi una breve colluttazione al termine della quale Marc impicca la signora dei delitti con la corda dell’ascensore. La collana le trancia il collo di netto e il viso del pianista si specchia in una pozza di sangue. Partono il motivetto dei Goblin e i titoli di coda: ma non è un fermo immagine perché il riflesso di Marc continua a ondeggiare nel rosso profondo, rimanendo impresso nella memoria come il riflesso galeotto della killer.

L’omicidio finale è decisamente anticlimatico e l’occhio del regista si sofferma meno sul cadavere della vecchia rispetto a quanto ha fatto per tutte le altre vittime, compreso Carlo che – quando ancora si credeva fosse il colpevole – viene a lungo maciullato casualmente prima da un furgone e poi da un’automobile.

Ma non è l’unica anomalia del capolavoro di Dario Argento Profondo rosso (1975), in questi giorni in sala restaurato in 4K; l’elefante nella stanza è ovviamente l’elemento cardine di qualunque giallo: la scoperta dell’assassino. Che viene subito svelato a inizio film dal dettaglio del riflesso nello specchio.

E non solo perché, come si è detto per anni, ad Argento interessa poco la soluzione del mistero, concentrato a restituire quelle atmosfere horror che sconfineranno in Suspiria e nel resto della sua produzione, in questo influenzato da tutta la tradizione del giallo/thriller/slasher italiano devoto più alla messinscena del delitto che alla sua razionalizzazione (l’esempio sommo: Reazione a catena di Mario Bava). Ma anche perché Argento pensa strutturalmente a un film che distragga lo spettatore in modo sistematico per poterlo violentare visivamente con oggetti stranianti, dalla bambola impiccata all’inquietante pupazzo del ventriloquo, fino a costringerlo a dimenticare l’enigma.

A questo servono anche i battibecchi tra Marc e la giornalista interpretata da Daria Nicolodi: smorzare la tensione perché l’impatto horror della violenza sia più efficace dei ragionamenti alla Poirot, del resto inesistenti. E in questo senso il lavoro sulle atmosfere è ancor più fruttuoso a una visione successiva: lo stesso svelamento immediato dell’assassino, dettaglio che a un secondo rewatch non si può più ignorare, aiuta ad astrarre dalla trama e prelude a quella erosione della diegesi incentivata nei film più propriamente orrorifici.

L’invito implicito di Argento è a eseguire uno o più rewatch, come se lo spettatore, insieme a Marc, debba andare alla ricerca del particolare tornando sui propri passi: e infatti il finale è una ripresa di cose già viste, la statua la piazza lo specchio il flashback, la reiterazione dei temi (o dei memi) disseminati per tutto il film. Una operazione che potenzialmente, nell’epoca in cui è assodato l’aumento della interattività del fruitore (messa in pausa, zoom dell’immagine, rewind etc) risulta più moderna che mai: una sete di sangue finalmente estinguibile.
Il film
Profondo rosso
Thriller - Italia 1975 - durata 130’
Regia: Dario Argento
Con David Hemmings, Daria Nicolodi, Gabriele Lavia, Macha Meril, Clara Calamai, Giuliana Calandra
Al cinema: Uscita in Italia il 10/07/2023
in streaming: su Timvision Infinity Selection Amazon Channel CineAutore Amazon Channel Infinity+
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Ma io non sono convinto che ad Argento il mistero sull'identità del colpevole non interessi. A parte che qui stiamo completamente ignorando il co-autore del film che è Bernardino Zapponi, grande sceneggiatore del cinema italiano, abituale collaboratore di Fellini, Monicelli, Risi e altri grandi registi del nostro cinema e non solo, il cui apporto alla storia non è assolutamente secondario (e vi invito ad andare ad ascoltare la sua intervista negli extra del DVD). Ma è evidente che Dario Argento si diverte a prenderci in giro come spettatori, delegati a vedere ma che in realtà non sanno vedere, mostrandoci il volto dell'assassino nelle prime sequenze, ma in realtà solo per un secondo, con la consapevolezza che non faremo in tempo ad accorgercene, e comunque tenendo quell'immagine molto lontana dalla sua apparizione vera e propria nel film, in modo che non si possa assolutamente collegarli. Questo a mio avviso non denota un disinteresse ma tutt'altro anzi: è una sfida verso lo spettatore, un po' come quelle che facevano letterariamente scrittori come Agatha Christie o Ellery Queen, due maestri del giallo, che seminavano indizi nelle loro pagine sapendo bene che i lettori erano troppo ottusi o troppo pigri per coglierli, una sfida che ben pochi registi prima di lui hanno osato lanciare.
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