James Bond è morto, le Carré pure ma i fan dello spionaggio possono contare almeno su Slow Horses, frammento del patrimonio immaginario britannico. Veterano della satira politica, Will Smith adatta la saga di Mick Herron e chiude in un fatiscente immobile londinese un lotto di agenti con un bagaglio pesante alle spalle: operazioni fallite, gaffe, scacchi, errori di valutazione... Perché l’Inghilterra non vanta solo spie eccezionali, il Security Service del Regno Unito, il celebre MI5, conta tra le sue fila persino 00 da ‘stalla’. Ma andiamo con ordine e facciamo un passo indietro, fino al principio di Slow Horses.
Il primo episodio si apre con una rocambolesca scena d’azione: River Cartwright, biondo agente ambizioso, attende il semaforo verde dai piani alti per lanciarsi all’inseguimento di un potenziale attentatore suicida, “maschio asiatico camicia blu, maglietta bianca”, in un anonimo aeroporto. È un giovane puledro dei servizi segreti ansioso di lasciare la scuderia e di mettersi alla prova su campo. Cartwright scalpita ai nastri di partenza, osserva eventuali movimenti sospetti, raccoglie informazioni e verifica indizi, in attesa del fischio dello starter che non tarda ad arrivare. Non è l’unico sul terreno di gioco ma è certamente il più veloce e diversamente da una gara di trotto non ha nessuna intenzione di dare un vantaggio ai colleghi più pigri.
Comincia a correre con un’accelerazione progressiva, scarta la folla, scivola lungo le scale mobili e si getta a capofitto sul suo bersaglio affrontandolo violentemente sulla pista di decollo. Pochi secondi, il tempo di una rapida perquisizione, e Cartwright prende atto del suo errore: ha fermato l’uomo sbagliato e il criminale è ancora a piede libero. Nonostante gli venga ripetutamente ordinato di ritrarsi, continua ostinato la sua caccia, a piedi o con mezzi di fortuna, qualsiasi cosa lo aiuti a coprire velocemente la distanza che lo separa dal presunto kamikaze. Ma il sospettato ha un vantaggio impossibile e lo beffa in volata fino a farsi esplodere sulla banchina della stazione. Pollice alto, pulsante, dissolvenza al bianco, come un’esplosione, sigla (Strange Game, scritta e interpretata da Mick Jagger).
Scopriremo alla fine dei titoli di testa che per fortuna si è trattato soltanto di una simulazione antiterrorismo, che ‘azzoppa’ un purosangue, l’agente Cartwright è il nipote di una leggenda dell’MI5 (Jonathan Pryce), e introduce la grande metafora ‘equina’ che titola la serie. Perché gli agenti che hanno fallito le missioni vengono assegnati a un luogo ingrato, un immobile fatiscente nel ventre di Londra, e nominati con disprezzo “cavalli lenti”. Dimenticate James Bond o George Smiley, le spie di Slow Horses sono anni luce lontani da questi eroi efficienti, sempre eleganti e carismatici. Disillusi, traumatizzati e privi di interesse per il proprio lavoro, sono lo zimbello dell’ordine. Una segretaria depressa, un geek, un nerd, un no-life, un funzionario noioso, un novellino scontano gli errori di carriera in una sorta di limbo che puzza di sigarette e bottiglie a buon mercato. Sono ‘ronzini’, cavalli in panne in attesa del macello, e devono assolvere compiti ingrati, missioni secondarie e praticamente inutili.
A dirigere la scuderia zoppa è Jackson Lamb, mito dismesso dei servizi segreti caduto in disgrazia e spinto verso la pensione. I suoi agenti, parenti prossimi di Johnny English, sono tutti fallibili e avventati quando decidono di condurre le loro indagini solitarie, pestando i piedi ai colleghi del quartier generale per provare che valgono ancora qualcosa. Spy-thriller ad alto tasso alcolico, Slow Horses riprende tutti i codici tradizionali dello spionaggio (scene d’azione, questioni di sicurezza nazionale, corruzione...), soffiando sul genere una ventata di aria fresca e di umorismo nero. L’intrigo, a doppio o triplo fondo, ricorda le Carré ma l’approccio di Herron al mondo delle spie è più comico che tragico. L’autore tesse abilmente suspense e satira, navigando dalle parti di The Office: poca azione e molta ironia per burlarsi meglio della prepotenza dei potenti.
Qualche mese dopo la prima stagione - il racconto di un’operazione di infiltrazione nell’estrema destra - i ronzini di Lamb affrontano un nuovo dilemma sullo sfondo della Guerra Fredda, di un rigurgito di guerra fredda. Sei nuovi episodi che si prendono il tempo di definire meglio gli uomini e le donne che si celano dietro la spia in ambasce. In equilibrio tra azione pura e sequenze intime, la seconda stagione si concentra maggiormente sulla routine dei suoi personaggi, la difficile convivenza in ufficio, i litigi di coppia, la morte violenta di un collega e il lutto di chi resta.
Un’esplorazione toccante della loro intimità invischiata in un complotto russo-britannico. Tra agenti sovietici ‘risvegliati’ e oligarchi voraci, il team di Lamb avanza a testa alta per riabilitare le proprie sventure. Umanità e sensibilità, dissimulate dietro uno Scotch o uno scacco di troppo, restano ancora le loro armi migliori. Will Smith, lo showrunner britannico e non l’attore, si impegna a dimostrare quanto valgano l’esperienza su campo, l’astuzia e l’estro di fronte a uno spazio saturo di dati, immagini e videosorveglianza. Più ancora quando la minaccia di un nuovo 11 settembre si profila all’orizzonte e costringe Lamb e la sua squadra a uscire dall’armadio in cui sono stati ‘riposti’ per troppo tempo.
Analogico fin dal debutto della seconda stagione, un lungo inseguimento sui mezzi pubblici tra agenti sessantenni, Slow Horses 2 riattiva il piacere che proviamo a seguire questi ‘precipitati’ dell’MI5, toccanti nei loro sforzi di sopravvivere in un mondo che non ha più bisogno di loro. Questa volta si tratta di chiudere i conti con una reliquia della guerra fredda, una storia di cui soltanto gli ‘anziani’, Jackson Lamb (Gary Oldman), Diana Taverner (Kristin Scott Thomas), capo delle operazioni dell’MI5, e David Cartwright (Jonathan Pryce), spia in pensione, conoscono la pesante eredità.
Ai loro giovani agenti, guidati dal dinamico e irrimediabilmente maldestro River Cartwright (Jack Lowden), il compito di risolvere l’intrigo. Lungo le rive del Tamigi e nello scarto che separa due generazioni, i contemporanei di le Carré devono vedersela con burocrati digitali ossessionati dalla redditività. Dall’altra parte del ‘muro’ gli ex agenti del KGB cercano invece un compromesso con gli scagnozzi degli oligarchi. In mezzo, River Cartwright, sempre alla ricerca di un’impossibile redenzione, mette a dura prova la pazienza di Diana Taverner, a cui Kristin Scott Thomas presta la sua inesauribile riserva di superbia e di ironia, contenendo l’ambizione di un ministro conservatore insopportabile e inetto.
Se Cartwright è inizialmente annunciato come l’eroe della serie, è attraverso i suoi occhi blu che scopriamo Slough House e facciamo progressi nelle indagini, il suo eroe in ambasce viene presto oscurato da Jackson Lamb. Non è in discussione il talento di Jack Lowden, è Gary Oldman il prodigio, così perfetto da commuovere. Detestabile quanto brillante, il suo protagonista è complesso a tal punto da dedicare un’intera stagione (la seconda) al suo lato oscuro, perché Gary Oldman conferma ancora una volta quella facoltà a terrorizzare che cova in una piega segreta del suo volto.
Dietro il suo ‘gioco’ e la minaccia perpetua di una deflagrazione imminente, inventa un velocista rallentato dall’alcool e sempre pronto a scoraggiare le velleità dei suoi ronzini. Gli episodi, impeccabili e compatti, sono governati con irascibile autorevolezza da un attore capace di trasformare una zuppa di noodle in una performance spettacolare e nell’occasione ‘ghiotta’ di dimostrare la totale mancanza di savoir-faire del suo personaggio. Gary Oldman cede definitivamente la cappa del Conte (Dracula di Bram Stoker) e gli occhiali di Smiley (La talpa) per un paio di calzini bucati e un ruolo stropicciato e flatulento. E lo spettacolo che offre con Jack Lamb è ‘sconcertante’ e irresistibile insieme.
La serie, incentrata su un luogo e sul personaggio che lo occupa, dipende così tanto da Oldman che se svanisse probabilmente evaporerebbe con lui. Il resto lo fanno il discorso satirico, la scrittura viva, il gioco di specchi nella grande tradizione della letteratura spionistica britannica, qualche acrobazia aerea, una distribuzione brillante dei ruoli e la gioia di poter godere ancora a lungo di una buona dose di spy-thriller, perché le stagioni tre e quattro sono state già confermate.
La serie tv
Slow Horses
Drammatico - Gran Bretagna 2022 - durata 44’
Titolo originale: Slow Horses
Con Lasco Atkins, Tom Wozniczka, Daniel Charles Doherty, Hugo Weaving, Guy Robbins, Sope Dirisu
in streaming: su Apple TV Plus
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