«È facile: quando io non ci sarò più, non ci sarà più neanche lui» ha sentenziato Harrison Ford a proposito dell’archeologo con frusta e fobia dei serpenti, una delle tre icone indelebili - con Han Solo e Rick Deckard; tutti, per motivi diversi, legati a un’idea anche narrativa di immortalità che Ford ha vestito, nei decenni, con ironia impagabile - che grazie alla sua prestanza fisica, alla testardaggine dell’industria e all’affetto del pubblico hanno avuto il privilegio di invecchiare sullo schermo. E di non essere rimpiazzate: che Indy non avrebbe avuto eredi si capiva già dal finale del troppo vituperato Regno del teschio di cristallo, dove il figlio Mutt/Shia LaBeouf tentava invano di acchiappare il mitico cappello.
Indy/Harrison non può essere sostituito, se non da se stesso: nell’incipit di questo capitolo ritroviamo un Jones di mezza età, protagonista di una maestosa scena action (che omaggia la sequenza d’apertura sul treno di L’ultima crociata) in cui il volto dell’eroe è stato ringiovanito digitalmente a partire dal database di immagini dell’attore. Lo stacco, poi, è volutamente e ironicamente impietoso: riecco Indiana, ottantenne, a torso nudo nel suo appartamento, infastidito dal rock a tutto volume dei vicini hippie.
Siamo nel 1969, l’uomo va sulla Luna, ma per un archeologo, pur vicino alla pensione, il futuro continua a sembrare cosa di poco conto, se paragonato al passato; e nel caso di Henry Jones Jr. si aggiunge un’ulteriore, amara mancanza di fiducia nell’avvenire, perché il Vietnam gli ha strappato l’erede, mandando all’aria il suo matrimonio con Marion, e lasciandolo solo coi rimasugli di antichi vasi e antiche avventure. Il film di Mangold, però, che raccoglie - lui, sì, erede “autorizzato” - il testimone da Spielberg, è tutt’altro che nostalgico: cita con grazia i momenti salienti della quadrilogia (pistola vs frusta, su tutti), ma sa anche ribaltare la dinamica dominante della saga, quella di Indiana + spalla femminile a far da interesse erotico o sentimentale, mettendo invece una strepitosa Phoebe Waller-Bridge nel ruolo di figlioccia, dunque figlia putativa, ma per verve e sagacia impertinente più nelle corde del burbero padre Henry Sr./Sean Connery (si parva licet) che in quelle del figlio faccia di bronzo del capitolo precedente.
Insieme partono sulle tracce dell’ennesimo manufatto dalle proprietà misticheggianti: il quadrante fabbricato da Archimede, capace di aprire varchi spaziotemporali, ma “truccato”, perché programmato per riportare indietro a dispetto del libero arbitrio, senza chance di cambiare la storia, un po’ come la “polizia del canone” di Spider-Man: Across the Spiderverse. Il vero nemico di Indiana, allora, a dispetto di un grande Mads Mikkelsen che seppellisce la sequela di nazisti della saga col villain più perfido di tutti, è proprio il suo attaccamento al passato, la sua ossessione per metter tutto sotto teca, in un museo. Mentre con slancio spielberghiano, infine, il film fa ritorno al futuro, a quell’avvenire che «fa male dappertutto», in una chiusa che lancia il cappello oltre l’ostacolo, con commovente intelligenza.
Il film
Indiana Jones e il Quadrante del Destino
Avventura - USA 2023 - durata 154’
Titolo originale: Indiana Jones and the Dial of Destiny
Regia: James Mangold
Con Harrison Ford, Phoebe Waller-Bridge, Mads Mikkelsen, Thomas Kretschmann, Boyd Holbrook, Shaunette Renée Wilson
Al cinema: Uscita in Italia il 28/06/2023
in streaming: su Apple TV Google Play Movies Amazon Video Rakuten TV Microsoft Store Timvision Disney Plus
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