“C’è un mondo fuori da Yonkers...”, canta Cornelius a Barnaby, prendendo il treno per New York e “una notte profumata dove le luci sono brillanti come stelle...”. Comincia con queste parole e sulle note di Put on Your Sunday Clothes WALL•E, prodezza della Pixar, che ricicla rifiuti e codici hollywoodiani. Inizia con l’aria di un musical (Hello, Dolly!) e ha l’aria da musical il film di Andrew Stanton, che svincola il ‘punto di vista’ dalla sua natura terreste e lo innalza facendo di ogni spettatore un dio.

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Il debutto di WALL•E è lo sguardo inabissato di un’inquadratura ardita che trascende la linearità dell’asse comunicativo emittente-ricettore, precipitandoci nello spazio profondo e in una distopia dove la Terra non è più vivibile in seguito a un accumulo estremo di rifiuti. L’oggettiva irreale penetra l’oscurità dell’universo fino a trovare un sole velato e poco più in là il nostro sistema solare, poi il nostro pianeta, i suoi continenti e una città, forse New York, forse Chicago, ridisegnate da César Baldaccini, scultore francese che celebrava la materia e la sua distruzione.

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Come lui WALL•E ha l’istinto del recupero (César apparteneva a un’epoca in cui non si buttava via niente), come lui assembra ‘rifiuti’, li riduce a parallelepipedi e li impila instancabilmente. Ed è la plasticità di quelle stele funebri compatte e regolari a colpirci subito, mentre piombiamo come uccelli rapaci sul paesaggio di una Terra futuristica desolata e abbandonata. E lì accade qualcosa di straordinario: la materia del mondo è palpabile, familiare eppure profondamente cambiata. Il nostro pianeta, iperrealistico e spalancato sotto ai nostri occhi, ha cambiato natura. Lo choc, puramente scopico e retinico, stabilisce immediatamente un rapporto singolare tra film e spettatore, mettendo tutte le immagini successive alla prova di questo primo contatto. Non saremo mai delusi e continueremo a credere a questo mondo di rottami, a quest’era geologica arrugginita e polverosa, acre e ocra.

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È solo WALL•E sulla faccia della Terra, trafitto soltanto da un raggio di sole che gli ricarica le batterie, ed è subito sera. Gli uomini, quelli che componevano poesie, suonavano al chiaro di luna e ballavano dentro un musical, fluttuano da settecento anni da qualche parte nel cosmo. In un lontano spazio intergalattico li scopriremo obesi, anestetizzati e inchiodati alle loro poltrone ambulanti. Sulla Terra intanto questo adorabile robot prosegue il lavoro per il quale è stato programmato: raccogliere, comprimere e ammassare gli infiniti rifiuti lasciati dalla civiltà. Ha tutto il tempo del mondo WALL•E per costituire un piccolo museo dell’uomo, di cui diventa fondatore e guardiano.

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Nell’antro di un container lo vediamo collezionare utensili e frammenti dell’attività umana. Il suo ‘pezzo’ preferito è la commedia musicale di Gene Kelly, Hello, Dolly!, che risuona nel silenzio opaco dell’universo, misurando il suo tempo infinito. Ancora leggibile sul nastro di un VHS, passa e ripassa in loop la sequenza di un duetto amoroso. WALL•E la imita sospirando davanti allo schermo con il tappo di un cerchione, raccolto per farne una paglietta.

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WALL•E è il nostro migliore amico e il nostro becchino. Il suo nome suona come ‘Wally’, diminutivo rotondo, ideale per un personaggio animato ma invertito diventa E-Wall, il muro elettronico che sugella le funzioni umane, divenute troppo lente e arcaiche. Ma questo muro, questa ‘lapide funeraria’ di lamiere, questo pendolo sospeso tra la vita e la morte della nostra specie, fa le fusa e non è affatto scettico sulle necessità e le opportunità dell’umanità, a cui si unirà, venendo a patti con l’alterità e dando all’uomo una seconda chance, se non la redenzione. Perché WALL•E ha una storia, una vita, un’anima segreta, la traccia di un sentimento che nasce e lo definisce a partire dall’istante in cui ha percepito l’unicità e l’irrepetibilità del suo essere. Quell’istante è musica(l), è il sentimento di Cornelius per Irene, confessato in It Only Takes a Moment. È quella canzone a rivelargli l’amore e la coscienza di essere solo al mondo e dimenticato nel mondo. Almeno fino al giorno in cui lo spazio smisurato non dona a questo Fred la sua Ginger, una robottina chiamata EVE e (in)seguita dentro un’immensità di polvere di stelle più vera del vero.

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L’alba di WALL•E è un puro incanto, che prepara quell’incontro. Pessimista e silenzioso, inquietante e grandioso, il prologo combina un disastro ecologico senza nome con l’eterna solitudine di un Pinocchio del futuro che ha avuto la (s)fortuna di sviluppare, nei secoli di abbandono, una forma di sensibilità umana.

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Dimenticata da tutti, questa creatura di lamiere si muove ostinata sulla superficie del mondo, alimentata dall’energia solare e immancabilmente fedele al programma che la guida. È un robot senza uomo, è un robot senza padrone. Dunque non è più un robot, ma cos’è allora? Questo personaggio meccanico è un lirico paradosso, il più prezioso dei segni, l’ultima traccia di umanità. WALL•E è un’essenza (la nostra) e una sostanza (in una scatola di latta). Questa definizione imprevista e non programmata è il suo fondamento filosofico. WALL•E non è solo “lui”, un personaggio, un eroe, un essere(?), ma anche noi. È la nostra ultima possibilità, è tutta la nostra memoria cinefila, è Chaplin e Keaton insieme, Gene Kelly e Fred Astaire in una scena di danza senza gravità.

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Le prime sequenze del film sono interamente dedicate alla vita quotidiana di WALL•E, una routine che segue il ritmo del sole (il robot è alimentato da batterie fotovoltaiche). Condannato dagli uomini a una orizzontalità esasperante, lo vediamo apparire e sparire dietro gli scheletri di antichi grattacieli che fiancheggiano le torri di rifiuti che WALL•E ha costruito. Lo guardiamo armeggiare, ammucchiare, ‘presentarsi’ muto col suo nome, inquadrato in dettaglio, fino a mostrarci gli occhi lucidi (due cellule fotoelettriche, niente bocca e niente naso) che riflettono il sole al tramonto e osservano una verticalità miracolosa. Perché qualche cosa di speciale cadrà dal cielo, deponendo con fracasso EVE, un robot ultima generazione in ricognizione per conto degli uomini, deve sondare eventuali tracce di vita organica sulla Terra esausta. Uovo di teflon e avorio, EVE è un’apparizione di alta tecnologia che innamora perdutamente WALL•E, creatura arcaica e ammaccata dalla grazia comica e un’espressione emotiva che non avremmo mai immaginato compatibile con l’animazione digitale. Il risultato è una grande storia d’amore ‘da cinema muto’ e un gioco di contrasti tra il corpo elegante e ultramoderno della sonda EVE, che non tocca mai il suolo, e il raccoglitore di rifiuti WALL•E, arrugginito e montato su cingoli ben ancorati a ‘terra’.

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Ma il robot Pixar ha scritto nell’impassibilità assoluta del volto e nella inedita personalità comica, l’acrobazia del cuore che assumerà la romantica proporzione di un’epifania sull’Axiom, l’arca-spaziale dove gli uomini si sono rifugiati e hanno spento il cervello. WALL•E come il monolito nero di Kubrick, soltanto meno inquietante, è uno choc culturale per tutti gli uomini di ritrovata volontà. È la breccia nell’intelligenza umana disattivata, è il decisivo serbatoio di vitalità. Se Kubrick proiettava in aria un osso che trasformava in arma, la Pixar lancia nello spazio una straordinaria creatura di latta, veicolo di fantasia e risveglio. Lontano anni luce dalla Terra, WALL•E inizia la sua odissea alla ricerca di EVE, che di continuo incontra e di continuo sfugge. E nella navigazione senza gravità e senza tempo, i suoi sentimenti trovano una trepida e dolcissima evidenza. Vincendo la propria assenza di peso gli amanti artificiali misureranno lo spazio a passi di danza, caricando progressivamente il film di quella segreta alchimia che innesca l’effetto musical e sposa l’inquadratura zenitale dell’aurora.

Autore

Marzia Gandolfi

Marzia Gandolfi (1971) è una “ragazza della Bovisa”. È cresciuta nei racconti di Testori e ha studiato nella città di Zurlini. Collabora stabilmente con MyMovies e resta duellante per sempre. Nel 2021 ha pubblicato con Bietti Kind of Blue. Barry Jenkins, variazioni sul corpo afroamericano e con Santelli Editore La forma dell’attore. È membro della Commissione selezionatrice dei cortometraggi per i premi David di Donatello e dal 2015 membro della giuria di Presente Italiano. Si occupa di serie TV per La Gazzetta del Mezzogiorno e di icone popolari per le riviste che amano le attrici e gli attori. Il suo eroe ha “gli occhi di ghiaccio”, il suo piccolo era più grande di lei. Nickname: la Tula.

Il film

locandina WALL-E

WALL-E

Animazione - USA 2008 - durata 98’

Titolo originale: WALL-E

Regia: Andrew Stanton

Al cinema: Uscita in Italia il 17/10/2008