Jerry Falk (Jason Biggs, ancora immerso con entrambi i piedi nella saga American Pie) è un giovane scrittore alle prime armi costretto a sbarcare il lunario scrivendo battute per comici di scarso valore, ha un fallimento amoroso alle spalle con una aspirante attrice/cantante (una devastante Christina Ricci) e vorrebbe scrivere un romanzo sul “grande vuoto dell’esistenza”. E ovviamente vive a New York. Ricorda qualcosa?
Siamo nel 2003 e Woody Allen con Anything Else sembra offrire al suo pubblico un ritorno ai motivi del passato, una scialba riproposizione delle trame e delle battute delle commedie di metà anni ‘70 come Io e Annie e Manhattan. Ma niente è più lontano dalla verità. Non solo perché – per motivi anagrafici – il tipico personaggio alleniano di una volta è affidato a un altro attore, addestrato tuttavia a ripetere i tic e le idiosincrasie della maschera originale. La differenza sta proprio nei continui rimandi al passato, primo fra tutti Io e Annie, con il quale i parallelismi davvero non si contano, compresa la scelta di alcune location e la ripetizione di alcune inquadrature storiche come il dialogo davanti al ponte di Brooklyn, ma totalmente rovesciati, desacralizzati, fatti detonare. Il giorno diventa notte e viceversa, i momenti romantici si tramutano in monologhi cinici e l’amata Grande Mela comincia a stare stretta.
Woody ritaglia per sé un personaggio disturbante, un mentore pazzo, le cui continue battute sull’Olocausto a un certo punto smettono di far ridere e assumono una tetraggine finora mai esplorata, e la cui verbosità è non ironica quanto apodittica. E cosa suggerisce questo “cattivo maestro”, che risolve i conflitti non con la parola ma con la violenza, allontanandosi dalla mitezza tipica alleniana? Andarsene per sempre da New York, abbracciare l’odiata Los Angeles (odiata da Alvy Singer, il protagonista di Io e Annie), cambiare vita e emanciparsi dalla nevrosi urbana della quale il regista dietro il personaggio è stato promotore fiero e autodissacrante per decenni.
Jerry Falk tentenna, trova scuse, ma alla fine coraggiosamente parte, senza il suo maestro, nel frattempo implicato in una grave aggressione. Nel finale quindi fa le valigie, prende un taxi, lascia la ragazza (o si fa lasciare?) e trova il tempo per riflettere sull’ironia della vita, alla maniera alleniana. Ma stavolta il tassista risponde “anything else”: la vita “è come tutto il resto”.
La New York post-11 settembre, ferita e schizoide, partorisce mostri e nega tutto ciò che era parte della poetica del regista fino a poco tempo prima, anticipando la fuga verso altri lidi, europei perlopiù, e il rifugiarsi su una visione disillusa e pragmatica dell’esistenza.
La psicoanalisi non è solo oggetto di ironia ma demolita in modo netto e radicale (e sparirà in pratica dai radar nei film successivi); la paranoia prende il sopravvento su tutto, l’alienazione non è più un simpatico cliché intellettuale ma uno stile di vita comune, e si percepisce l’odore del complottismo, della paura (o dell’anelito) per l’apocalisse imminente. Allen scherza (seriamente) con le paure di un millennio che parte già sconfitto in un film che è testamentario o meglio fa tabula rasa: da qui in poi si ricomincia da capo, si cercano altre vie, ci si arrende alla leggerezza imposta, al whatever works di cui l’anything else è il progenitore.
La follia del tempo recente è la annichilente fidanzata, è l’invadente suocera, è il manager incapace e assillante (splendido Danny De Vito), è il mentore disadattato che alla fine aveva ragione e fa quello che dovrebbe fare: lasciarti andare. Che posto ha la sanità in mezzo a questa schizofrenia globale che chiamiamo XXI secolo? Nessuno. E infatti se ne va. A Los Angeles, a fare uno show televisivo! Addio Alvy Singer. Addio New York, addio per sempre.
Il film
Anything Else
Commedia - USA/Francia/Olanda/Gran Bretagna 2003 - durata 108’
Titolo originale: Anything Else
Regia: Woody Allen
Con Danny DeVito, Woody Allen, Jason Biggs, Stockard Channing, Christina Ricci, Jimmy Fallon
Al cinema: Uscita in Italia il 03/10/2003
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