I quattrocento colpi, avventura straordinaria di un (pre)adolescente nella Parigi del dopoguerra, non avrebbe avuto il successo che ha avuto se fosse stata una semplice storia di scacco e di disperazione. Dietro al racconto realista, il dramma d’infanzia più sensibile della storia del cinema, se ne profila un altro più complesso e più ambiguo, perché il debutto al cinema di François Truffaut manifesta dall’inizio un desiderio appassionato di fondersi con una figura materna. Guardare l’introduzione e la conclusione per credere.

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I quattrocento colpi

I titoli di testa si inscrivono in una serie di piani che evocano la ricerca di una macchina da presa impaziente di essere riunita con la Tour Eiffel. Allo stesso modo, nel (gran) finale, un lungo travelling accompagna Antoine Doinel fino al punto esatto della spiaggia in cui le onde toccano la sabbia. Per i poeti la riva è il corpo materno dove il bambino viene al mondo. Ma all’interno del film il desiderio di fusione si manifesta nel rapporto trascinante tra Antoine e Parigi. La città è uno spazio materno, una madre che accoglie, ripara il bambino, protegge i suoi giochi, lo nasconde, lo lava, lo nutre. La sola volta che sentiamo il dolore e il pianto del protagonista è nel cellulare che lo separa e lo porta via da quel grande corpo materno.

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I quattrocento colpi

Truffaut ha sempre negato il carattere autobiografico di questo film ma il suo eroe, incarnato per sempre da Jean-Pierre Léaud, deambulerà in tutte le sue avventure biografiche (il ciclo Doinel) e in tutti i quartieri della sua infanzia e della sua adolescenza. Bambino della rive droite, è sempre stato affascinato dalla Tour Eiffel, che svetta lontana dal suo naso e di cui colleziona le miniature tutta la vita, facendone addirittura un’arma in mano a Fanny Ardant in Finalmente domenica!.

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Finalmente domenica! (1983) locandina

Il monumento è sulla rive gauche della Senna, una metà di Parigi quasi ignorata dal regista cresciuto nel IX arrondissement, tra la casa della madre e quella più accogliente della nonna. Flâneur urbano, Truffaut girovagava per Pigalle, attraversando Place de Clichy dove troneggiava maestoso il Gaumont-Palace. Per un appassionato di cinema come lui, il pavé di Parigi era all’epoca un paradiso, la televisione non esisteva e le vie rigurgitavano di sale cinematografiche. Rue des Martyrs, rue La Condamine, Place Blanche, ai piedi de la Butte Montmartre, le piccole sale pullulavano di ragazzini impazienti di vedere nel luglio del 1946 Quarto potere di Orson Welles. Nella città eterna di Truffaut, il telefono è nel Café al piano di sotto e il cinema è sempre l’ultimo rifugio.

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I quattrocento colpi

Parigi gli apparteneva e la sua macchina da presa qualche anno dopo circolerà tra le sue vie come a casa. Non si può pensare Parigi senza Truffaut, quella reale e quella del suo cinema finiscono sovente per coincidere. È così dal principio, quello artistico del regista e quello de I quattrocento colpi, che comincia con un lungo piano sequenza zigzagante attraverso le rues de Paris. La ‘camera’ parte dal XXVI arrondissement e procede in direzione della Tour Eiffel, punto (e punta) comune di tutti i piani a seguire. Truffaut è très rive droite, è cresciuto a Pigalle e col successo si è stabilito nel XVI arrondissement e in un appartamento con la vista sulla dame de fer, ossessione dei titoli di testa musicati da Jean Constantin.

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I quattrocento colpi

La m.d.p. procede per la avenue du Président-Wilson e poi dritto fino al mattino e all’ingresso del Palais di Tokyo, alle sue spalle la destinazione finale: quattro piedi e diecimila tonnellate su cui compare infine “mise en scène de François Truffaut”. Nella carrellata dei titoli (2 minuti e 41 secondi), avviata dalla rue dell’Amiral d’Estaing e diretta verso la rue de Lübeck e oltre, c’è già tutto Truffaut.

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I quattrocento colpi

Studiare l’opera di un autore consiste prima di tutto nell’interrogare le sue prime immagini. Secondo Pierre Braunberger, esuberante produttore cinematografico francese sotto l’Occupazione che ricostruì la sua attività negli anni Sessanta a fianco degli autori della Nouvelle Vague, il primo progetto di Truffaut fu un racconto di formazione con la Tour Eiffel come décor principale e una sceneggiatura ‘ritoccata’ dal suo amico Jean-Luc Godard. Una giovane donna di passaggio a Parigi vuole visitare il celebre monumento e domanda la strada a passanti occasionali. Ha poche ore a disposizioni e non sa come raggiungere la torre che appare dappertutto e poi scompare.

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L'età difficile (1957) locandina

Truffaut deciderà altrimenti e il progetto sarà abbandonato per Les Mistons ma certe figure di stile annunciano già le sue ossessioni a venire. A partire dalla Tour Eiffel, che inizia il gioco a nascondino in tutte le sue opere. Curiosamente l’intenzione scartata non cadrà troppo lontano da Les Mistons, perché il vero soggetto del corto mai realizzato non è la disavventura di una provinciale ma una tensione esacerbata dall’ostacolo e tesa verso un’immagine segreta o interdetta.

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I quattrocento colpi

I titoli de I quattrocento colpi magnificano quel tendere e lo soddisfano raggiungendo l’oggetto del proprio desiderio con una spinta ostinata che anticipa il passo di Doinel. La Tour Eiffel, come il corpo di Bernadette Lafont, attira e sfida gli sguardi. Del resto i film del regista mettono sempre in scena una pedagogia dello sguardo. Al prezzo di dolorose trasgressioni i suoi personaggi conquistano una visione autonoma del mondo. Doinel come Truffaut l’acquista scrivendo il proprio destino nello stile di uno scalatore. Il suo destino è la scalata di Parigi, avanzando dalla rive droite strada per strada. La sua cima è Montmartre, il suo obiettivo ‘la Torre’ ma le sue avventure si spingeranno fino ai confini della città, lungo le frontiere in cui Parigi precipita in un altro mondo con la vita di un ragazzo.

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I quattrocento colpi

Seguendo la geografia parigina della sua infanzia, i film di Truffaut diventano lo schermo su cui proiettarla, in cui battere le strade del suo passato perché il suo presente lo stabilisce altrove, nelle strade alberate di Passy da cui contemplare meglio la sua “migliore fonte di ispirazione”, quella torre a cui si aggrappano i suoi titoli trillanti. Una vista ininterrotta sul monumento di cui vediamo sovente le riproduzioni nei suoi film (da L’amore fugge a L’ultimo metrò, da Baci rubati, troneggia di nuovo sull’opening credits, a Finalmente domenica!). Aurora del suo cinema, i titoli de I quattrocento colpi avanzano in quel décor privilegiato della Nouvelle Vague, una città che diviene catalizzatrice perfetta di un cinema che dirotta l’azione e si apre a quella vibrazione particolare del quotidiano, a una sentimentalità da comptoir, da edifici haussmaniani, chambre de bonne, metro e cabine telefoniche.

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François Truffaut

Una città talmente inaccessibile oggi che verrebbe voglia di tornarci come in una fotografia di Robert Doisneau. I quattrocento colpi galoppa con ‘due cavalli’ verso la Tour Eiffel, infinita risorsa narrativa, ma è ficcato nel XVIII arrondissement dove Truffaut come Doinel ha speso la sua infanzia. Oggi l’autore riposa proprio lì, al cimitero di Montmartre, in una tomba di marmo nero che riflette l’ombra degli alberi e del cielo parigino, “pas longtemps cruel” cantava Édith Piaf. Riposa a fianco di Feydeau e Degas, di Clouzot e Guitry, e in quel luogo di pace l’enfant de la rive droite ritrova la sua famiglia e i luoghi in cui debuttò il film della sua vita. Il fuggitivo è tornato a casa dopo aver attraversato la Senna e raggiunto il cuore di metallo di un territorio sconosciuto.

Autore

Marzia Gandolfi

Marzia Gandolfi (1971) è una “ragazza della Bovisa”. È cresciuta nei racconti di Testori e ha studiato nella città di Zurlini. Collabora stabilmente con MyMovies e resta duellante per sempre. Nel 2021 ha pubblicato con Bietti Kind of Blue. Barry Jenkins, variazioni sul corpo afroamericano e con Santelli Editore La forma dell’attore. È membro della Commissione selezionatrice dei cortometraggi per i premi David di Donatello e dal 2015 membro della giuria di Presente Italiano. Si occupa di serie TV per La Gazzetta del Mezzogiorno e di icone popolari per le riviste che amano le attrici e gli attori. Il suo eroe ha “gli occhi di ghiaccio”, il suo piccolo era più grande di lei. Nickname: la Tula.

Il film

locandina I quattrocento colpi

I quattrocento colpi

Drammatico - Francia 1959 - durata 93’

Titolo originale: Les 400 coups

Regia: François Truffaut

Con Jean-Pierre Léaud, Albert Rémy, Claire Maurier

Al cinema: Uscita in Italia il 25/09/2014