Rivedere i film, per Straub-Huillet, è ricrearli, cercare tra le immagini quella che strappa il fantasma dall’oblio. Così enrico ghezzi, che ha molto sostato e mischiato i frammenti vivi di cinema preistorico, antico, moderno e postmoderno, ha diretto e montato il suo (non) film, 196 minuti, fuori concorso (ma premiato) a Venezia 79, non come archivio di memoria - 35 anni di visioni e di riprese: 700 ore di girato - ma come laboratorio di nuovo cinema.
Immagini che ci riguardano, action directe alchemica. Se la Grande guerra è stata il primo capitolo dell’ultima e definitiva guerra, dell’estinzione dell’umanità (non immeritata) prevista da Karl Kraus nel suo insostenibile teatro degli orrori, e riconfermata da Ronconi al Lingotto, che fa l’arte oggi, cioè la politica fatta obliquamente? Lucra sul colossale spettacolo dell’Apocalisse, come fa il cinema classico? Sposta la catastrofe dentro l’individuo, nella soggettività che va in mille pezzi, descritta dalla modernità? Cambia le carte in tavola, rovescia le gerarchie del mondo ed entra in clandestinità? Rompe con l’Antropocene, pietrificandosi in postumano?
Alessandro Gagliardo è l’esploratore-speleologo dotato del fegato giusto, l’ideale complice di ghezzi nei sotterranei dell’immaginario lecito e illecito, visto che in Sicilia si era trasformato in telecamera di sorveglianza girata dalla parte opposta. La catastrofe imminente (o passata) si legge sul volto attonito di angeli in bianco e nero e dentro vulcani fiammeggianti, o forse è la rinascita del mondo, il Voyage of Time di Malick? Flash sfuggenti, ironici e beffardi, disseminati tra le rovine, parlano di enrico, dei suoi controcampi mentali: Wakamatsu, Kubrick, Ferrara. Debord, Sokurov, Tarr. Syberberg, Paradžanov, Iosseliani. Peckinpah, Bertolucci, Bene...
Found footage, non film-collage. Il materiale visivo è forzato a interpretazioni inedite e “scandalose”: Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi mettono in controtempo il materiale d’archivio, facendolo così arrossire. Grifi e Baruchello con La verifica incerta iniettano il chip giusto per trasformarci in oncologi del cliché e della sindrome autoritaria. Esperimenti di “buone visioni”, a dorso di cavallo senza briglia, senza sella, senza collo, senza testa. Fermi, in moto. Aura Ghezzi, apparizione angelica anche lei, recita Kafka e subito dopo, bambina, grida alla madre Nennella Bonaiuto: «Basta, te lo porti via il babbo?». Già perché enrico la perseguita con la telecamera nel buco della serratura, e la mette accanto al Ray Milland di Corman con gli occhi neri da insetto.
La metamorfosi spaventa. Ma dopo le Torri gemelle, Genova 2001, Netanyahu, Modi, il COVID-19, Putin e l’Ucraina, è inevitabile. Il kolossal di ghezzi si fa cinema soggettivo, clandestino, postumano e resuscita Fuller, Anthony Mann e Renoir. Quel che lì è «disarticolato, dissociato, dislocato, si mantiene, fissato, nel momento stesso in cui viene esposto: il dis-giunto». Lo scriveva Derrida di Valerio Adami, il pittore pop che in Vacances dans le désert teorizza il desiderio insoddisfatto di ghezzi. Filmare l’intera vita. È L’acquario di quello che manca. Si segue il sentiero dorato e prima o poi si arriverà nel Kansas.
Il film
Gli ultimi giorni dell'umanità
Documentario - Italia 2022 - durata 196’
Regia: Enrico Ghezzi, Alessandro Gagliardo
Con Aura Ghezzi, Enrico Ghezzi, Adelchi Ghezzi, Toni Servillo
Al cinema: Uscita in Italia il 08/05/2023
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