La macchina da presa parte con un movimento inverso, da destra a sinistra. Scopre progressivamente un cimitero, le sue tombe, la morte, la vita, tanta vita operosa.

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I titoli di testa scorrono nella direzione opposta. Al principio il desiderio (El Deseo), il nome della sua casa di produzione e di quel sentimento fisico e violento che scuote tutti i suoi personaggi, poi Pedro Almodóvar, perché siamo in un ‘film di’ Pedro Almodóvar: REVLOV. Un melodramma che si riavvolge. All’inizio la fine. Si parte dall’eterno riposo e si avanza verso la fugacità della vita.

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Il lutto è al centro della prima scena. Il lutto delle vedove e degli orfani, in una commistione di fervore e ardore prosaico. Come le spigolatrici di Jacinto Guerrero, le donne ‘raccolgono’ chine la morte quotidiana e i suoi ricordi dispersi, spazzano le tombe dalle foglie che il vento dell’est si ostina rimettere al loro posto, lucidano le lettere delle lapidi, cambiano l’acqua ai fiori cullate dalle note di una zarzuela (“La rosa del azafrán”) ambientata nella Mancia, la regione di Don Chisciotte e dell’autore.

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Dove sono gli uomini? Morti e sepolti o appena gratificati da una presenza amabile più avanti nel film (un giovane regista che organizza pranzi per le maestranze nella cantina della protagonista). È l’idea di Almodóvar, reale o immaginaria, la famiglia si coniuga al femminile. Di madre in figlia, tutte sorelle.

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In quel piccolo paese della Mancia, ci spiega Paula (Lola Dueñas), le donne vivono di più degli uomini, resi folli dal vento. In un clima da operetta, il film si allunga in terra con la morte, parla con lei, intona un racconto apparentemente fantastico fissato saldamente a un realismo placido, Almodóvar lo chiama “naturalismo surreale”. Volver fa la spola tra il qui e il là e ritorna come un’epopea al paese natale dell’autore, dove non è affatto strano che le comari chiacchierino amabilmente coi loro cari defunti.

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‘Ritorna’ Almodóvar e ritorna Irene, la madre di Raimunda, che giace sotto una pietra tombale. Dal momento che il ruolo è stato affidato a Carmen Maura, Irene deve trovare un modo per ritornare sulla terra, risorgere dai morti e riparare quello che può essere riparato tra i vivi, nel quotidiano travagliato di sua figlia e di sua nipote, che il ‘padre’ ha provato a violare. Ma le parole nel cinema di Almodóvar non servono, non servono soprattutto a capire. Sono fatte per sviare, un padre non è veramente un padre, è un predatore o un patrigno, una figlia non è soltanto una figlia, è anche una sorella, la morte non è effettivamente morte, è una magia immanente, una presenza in carne e ossa.

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Sono i colori a dire meglio delle parole, a dire gli umori, le passioni, la tristezza, il lutto. Come nei melodrammi di Douglas Sirk o di Vincente Minnelli, nei film di Almodóvar hanno un valore puramente simbolico. Il rosso e il blu sugli altri. Saturi e antagonisti, sono i colori primari di tutti i suoi drammi, le sue affiche, le sue luci, i suoi décor, i suoi costumi. Il rosso contro il blu, il femminile contro il maschile. Il rosso delle ragazze, il blu dei ragazzi. Un accordo impossibile, soprattutto in Volver. A questa mano di palette, l’autore rilegge Il romanzo di Mildred di Michael Curtiz, storia di una madre che ama troppo sua figlia, e Arsenico e vecchi merletti di Frank Capra, un classico dell’humour nero che scava fosse in cantina.

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Alla lista potremmo aggiungere senza azzardare Donne di George Cukor, perché Volver è l’evocazione di un mondo senza uomini. Ma il salone di bellezza dove le mogli dell’alta società newyorkese non smettono di discutere di mariti invisibili, che manovrano, sorvegliano, lasciano, riprendono, imponendo la loro morale anche quando sembrano vittime, è stato scambiato con un villaggio nella Mancia, dove una bizzarra utopia si sta compiendo, le donne conoscono una sola maniera di ‘occuparsi’ dei loro uomini: lucidare le loro tombe...

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Ed è davanti al monumento funerario di famiglia che incontriamo Raimunda, madre, moglie, figlia (figlia di una madre che ha perso e di un padre che ha visto nella figlia una donna commettendo l’irreparabile), sua figlia Paula, appena uscita dall’infanzia, sua sorella Soledad, credulona dal cuore d’oro capace di accettare l’inconcepibile, e Augustina, vicina devota e alla ricerca ostinata della madre ‘scomparsa’. Tutte si ritroveranno intimamente legate da una successione di avvenimenti mostruosi che risveglieranno (letteralmente) fantasmi e demoni del passato.

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Madre coraggio del cinema latino, accomodata tra Sofia Loren (Matrimonio all’italiana) e Anna Magnani (Mamma Roma), Penélope Cruz è trasfigurata da un’energia selvatica. Regina di un racconto di amore e di morte, non è affatto una donna sull’orlo di una crisi di nervi ma una divinità radiosa della fertilità. E nel paesaggio di Raimunda altri caratteri sacri si disegnano: Soledad, Augustina, (E)irene, Regina e Paula, l’erede che sta per compiere l’irreparabile con una sola coltellata ben piazzata. Crimine ‘morale’ e primo slittamento del film che precipita all’inferno.
Al di là del bene e del male, Almodóvar non condanna la sua eroina, l’omicidio consumato nel suo foyer è soltanto una nuova sfida domestica. Come sbarazzarsi del cadavere? Come salvare sua figlia?

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Contro ogni attesa le verrà in soccorso la madre che ‘appare’ la prima volta in una fotoceramica, un ovale fissato sulla pietra sepolcrale perché Irene è morta quattro anni prima in un misterioso incendio. Fantasma presunto o reale, poco importa la vera natura di Irene, a contare è la maniera in cui si incarna per amore della figlia, della nipote, della vicina. L’accumulo dei ritorni, il verbo del titolo infesta il film, dona a Volver il suo movimento, stabilisce un traffico intenso tra città e paese, tra aldilà e al-di-qua, tra racconto del passato e rivelazione di quello che è veramente stato, tra tre generazioni di donne.

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Volver si centra su una comunità esclusivamente femminile, in una trama che emargina gli uomini ed esclude conseguentemente la logica penale. Perché il cinema di Pedro Almodóvar, dove il primato della psicologia regna sulle norme sociali e l’ordinamento legale, assume fino in fondo la logica finzionale e dispensa i suoi spettatori da ogni relazione con la legge. L’omicidio domestico nel film è un atto commesso istintivamente da una figlia consapevole e la madre vuole rivendicarlo. Si tratta di non lasciare più che le cose accadano, di non restare ciechi agli abusi del padre, perché l’impunità spinge altri uomini a reclamare lo stesso diritto.

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A immagine della sua ouverture, Volver è un film centrato sulla morte, tappa obbligatoria per ogni essere umano, ma il regista aggira la sua evidenza e ci conduce in una storia dove i morti non sono veramente morti e i vivi sono zombi. Finiamo in un mélo profondamente umano che comincia con un travelling laterale e un bouquet di vedove sorprese a pulire le tombe dei loro mariti o dei loro genitori. Tutto Volver è in quel gesto degno: spazzare via lo sporco, che fa marcire la vita, e ‘ritornare’ a vivere “con el alma aferada a un dulce recuerdo que lloro otra vez...”.

Autore

Marzia Gandolfi

Marzia Gandolfi (1971) è una “ragazza della Bovisa”. È cresciuta nei racconti di Testori e ha studiato nella città di Zurlini. Collabora stabilmente con MyMovies e resta duellante per sempre. Nel 2021 ha pubblicato con Bietti Kind of Blue. Barry Jenkins, variazioni sul corpo afroamericano e con Santelli Editore La forma dell’attore. È membro della Commissione selezionatrice dei cortometraggi per i premi David di Donatello e dal 2015 membro della giuria di Presente Italiano. Si occupa di serie TV per La Gazzetta del Mezzogiorno e di icone popolari per le riviste che amano le attrici e gli attori. Il suo eroe ha “gli occhi di ghiaccio”, il suo piccolo era più grande di lei. Nickname: la Tula.

Il film

locandina Volver

Volver

Drammatico - Spagna 2006 - durata 121’

Titolo originale: Volver

Regia: Pedro Almodóvar

Con Penélope Cruz, Carmen Maura, Lola Dueñas, Blanca Portillo, Yohana Cobo, Chus Lampreave

Al cinema: Uscita in Italia il 19/05/2006

in streaming: su Now TV Sky Go Apple TV Google Play Movies Amazon Video Timvision