«Lei ci ha parlato dei fatti suoi, di un’esperienza personale molto limitata. Ma questo film non è rappresentativo [dei giovani]». «Infatti», risponde il protagonista di Sogni d’oro, «io non volevo rappresentarli: a malapena rappresento me stesso». Anni dopo Margherita, in Mia madre, si chiede: «Da che parte sta l’immagine? Dalla parte di chi picchia o di chi è picchiato?». L’essere o non essere «rappresentativo» è una domanda insistente, in Moretti. Il problema. Il punto. Cosa rappresento? E come?
C’è stato, nei primi film, un io insofferente nei confronti d’un mondo che non lo rispecchia, e a cui risponde con la sua intransigente misura, la propria morale indiscutibile: un comico che è anche (soprattutto?) la solitudine di un numero primo. E c’è stata, anni dopo, l’apertura, un farsi da parte come intimato da Dino Risi («spostati, non vedo il film»), il prendere alla lettera lo «stare al fianco del personaggio» di Brecht: accompagnando i suoi alter ego con personaggi secondari, sdoppiando le prospettive, tentando un dialogo tra ipotesi di sé, i suoi doppi Buy, Trinca, Orlando, Piccoli, e i Nanni e Giovanni che sussurrano o sbraitano a fianco.
Pensateci: in Il Caimano sceglie di rappresentare Berlusconi, di prendere su di sé una responsabilità politica, di farsi corpo d’un mutamento antropologico. In Habemus Papam il papa, al contrario, sceglie di non rappresentarlo, il popolo di Dio, decide di non essere un simbolo, ma solo un attore (così come Nanni sceglie di non essere guida politica dei girotondi, a quel tempo, restando solo un regista). Film che sono, letteralmente, quella crisi: «cosa rappresento?». Il sol dell’avvenire è una risposta, una tregua, una proposta di pace.
Un ulteriore 8½, un Sogni d’oro senile, la storia di Giovanni che vuole fare un film in costume sullo smarrimento dei comunisti italiani al tempo dell’Ungheria invasa, un’opera che finisce col suicidio mentre il suo matrimonio si sgretola, i produttori rubano, gli attori sono macchiette ignoranti e presuntuose, i giovani registi non conoscono etica, Netflix vuole il fattore «what the fuck? », e lui sogna un film su Il nuotatore di Cheever e una storia d’amore attraverso le canzoni italiane. Ancora. Ancora. Ancora. Un film che è un greatest hits di morettismi, un riciclo accurato di gag, un ritorno continuo del già visto e sentito (le scarpe, i calci al pallone, i brani in auto, la psicoanalisi).
Un ritrovarsi (dopo l’allontanarsi di Tre piani) che è un ripetersi parodico, un fan service (a tratti sorprendente, a tratti ritrito) ma non nostalgico: quieto. Perché mentre intorno «tutto finisce» Moretti il moralista decide di rappresentare solo se stesso, facendo sfilare (fellinianamente) temi e figure di quello che è stato, i propri «luoghi comuni». Un posto in cui può cambiare la storia, se solo lo vuole (come Tarantino o Murphy: ma non diteglielo). Lo sa che è un privilegio, in queste macerie, poter bastare a se stesso, fare Nanni Moretti. Nessun suicidio. Un sorriso. Si può accontentare. Ma noi?
Il film
Il sol dell'avvenire
Commedia - Italia 2023 - durata 104’
Regia: Nanni Moretti
Con Mathieu Amalric, Nanni Moretti, Silvio Orlando, Barbora Bobulova, Margherita Buy, Jerzy Stuhr
Al cinema: Uscita in Italia il 20/04/2023
in streaming: su Apple TV Rakuten TV Google Play Movies Amazon Video Timvision Rai Play
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