Prima ci sono Il vento fa il suo giro e Padroni di casa, ogni western che si rispetti con protagonista uno straniero, ogni gotico in cui al paesino giunge il forestiero. Ogni Cane di paglia. Qui l’ospite è un insegnante (Denis Ménochet), venuto con la moglie (Marina Foïs) in Galizia, comunità autonoma nel nord-ovest della Spagna, per cambiare il proprio modo di vivere: coltivare, vendere i prodotti della terra, sistemare volontariamente ruderi non suoi per portare, un giorno lontano, in futuro, turisti.
È la ricerca di una slow life: il sogno privilegiato, la risposta borghese, l’ideale francescano di sottrarsi al Capitalismo tornando alla natura, godendosi l’aria pulita, le piccole cose del mondo. Poi ci sono gli indigeni, quelli che la terra la lavorano da sempre, quelli sanno d’essere brutti, sporchi, cattivi. Di essere poveri e «puzzare di merda». Quelli che al «francesino» non perdonano d’avere votato contro la vendita delle loro terre a una compagnia d’energia eolica, di non aver loro concesso la possibilità del riscatto sociale, un futuro migliore, le mani pulite, le ossa non rotte.
Sorogoyen questo film lo gira dalla parte dello spettatore (cioè da quella del borghese, lavorando sulla sua morale, i suoi ideali, le sue paure), ma sa, sottilmente, che non c’è una sola ragione. E il suo controllo formale - mentre l’insofferenza si fa ira, e l’ira violenza - è assoluto, con un punto di vista, certo, che non è mai cieco, univoco, patetico. La macchina da presa si sposta impietosa, ortogonalmente: e se si sente è proprio perché resta impassibile (ogni fuoriuscita dall’asse è calibrata, giustificata: basta un’auto che si sposta su terreno dissestato, per esempio, un sommovimento, per produrre tensione nello spettatore, proprio come in Twentynine Palms di Dumont).
La colonna sonora è ridotta ai minimi termini, inscheletrita, primordiale. Nulla rimarca il rancore che cresce sino a esplodere, lo si guarda e sente depositare nelle tensioni del teatro d’attori (totalmente antipsicologico, e dunque non pienamente prevedibile), nei dettagli, nei raccordi, nel fuori campo come in un film di Tourneur: è uno sguardo che sa cosa è possibile, un disegno già scritto (dall’incipit e dal poster, anche), consapevole che esser troppo di parte significherebbe illudere, e mentire.
Poi, come in Madre, c’è un film dopo il film, un’opera che raccoglie gli effetti della prima, che si muove tra le sue rovine, cambia genere (in ogni senso), e prospettiva. Un film che sostituisce alla rabbia la costanza, alla violenza la pazienza, alla bestialità maschile la cura femminile, e crea un nuovo mondo, una nuova terra, antica, donna, madre e straniera. Ma il punto di questo film non sono i temi, le figure, le morali, le tesi, l’ideologia. Per quanto possano essere giuste, anche eclatanti. È il cinema, quello che c’è tra i nostri occhi e la scena, una questione di giusta distanza, di senso del tempo, quel che passa tra un thrilling opaco, insinuante, asfissiante, e una faticosa (e potente proprio per questo) catarsi. Un film magistrale.
Il film
As bestas - La terra della discordia
Thriller - Spagna, Francia 2022 - durata 137’
Titolo originale: As bestas
Regia: Rodrigo Sorogoyen
Con Denis Menochet, Marina Foïs, Luis Zahera, Diego Anido, Machi Salgado, David Menéndez
Al cinema: Uscita in Italia il 13/04/2023
in streaming: su Rakuten TV Infinity Selection Amazon Channel Timvision
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta