Le Samouraï (in italiano distribuito col titolo Frank Costello faccia d’angelo) è il film più semplice di Jean-Pierre Melville, il punto di non ritorno nel suo rapporto con la stilizzazione, la decostruzione, l’astrazione. Tutto si tiene su poche cose: un uomo, un’arma, un uccello in gabbia. Tutto è nel prologo (3 minuti e 25 secondi) e dentro una stanza in cui un attore attende.
Come tutti gli attori attende la morte. Sdraiato sul letto, Alain Delon fa il gangster o impara a farlo, fumando lentamente in un vuoto pieno. Due finestre a ghigliottina e una gabbia per uccelli delimitano lo spazio vitale del suo protagonista, immobile come un allievo al primo banco, quello che Delon non è mai stato, “agli ordini” come il buon soldato che avrebbe voluto essere. La bestia (di scena) è domata, o magari soltanto un po’ addomesticata. Il nuovo divo di Melville giace quieto in un décor fantomatico. Il suo vestito scuro si accorda alle pareti e in quel verde insalubre quasi non lo vediamo, non subito almeno. Dobbiamo abituarci all’oscurità verdastra che bagna la camera.
È una cella, austera come quella di un monaco, stretta come quella di una prigione, o forse una tana, dove Frank Costello, killer a pagamento, fa economia di parole. Prima dei dialoghi e dell’azione, è un corpo impassibile che fuma e il fumo satura la stanza mentre la pioggia fuori batte sui vetri e cadenza il passaggio delle auto sulla strada. Gli pneumatici irrigati fanno eco alle ombre che scorrono sul soffitto, le finestre chiuse incorniciano la scala antincendio dell’edificio di fronte.
Quelle scale esistono solo a New York ma qui siamo nella Parigi in disuso di Melville, monocromatica e fredda come i suoi inverni. Sul titolo e i titoli bianchi giace la silhouette di Delon. Altrove elastico, da Melville sembra passato all’appretto. Il corpo composto sul letto ha la rigidità della morte. L’attore ha trent’anni ma il suo personaggio sembra già condannato a non vivere oltre. L’uomo si solleva improvvisamente, sguardo marmoreo e lineamenti sigillati dalla mascella tesa, osserva la gabbia e sventola una mezza mazzetta di banconote.
Ha qualcosa dell’uccello in gabbia che ‘suona’ come un segnale d’allarme, il suo comportamento gli dirà se qualcuno è entrato in casa o sta per farlo, se tirare fuori la pistola e sparare per primo, uccidere prima di essere ucciso. Morale dell’azione, fuori morale. C’è davvero bisogno di aggiungere altro?
Soltanto un frullo e un cinguettio acuto, suoni di vita contro l’underplaying di Delon. Ogni gesto è direttamente proporzionale all’assenza di interesse per la vita del suo protagonista. Frank Costello adesso è in piedi, guardatelo bene perché ceci n’est pas un gangster. Melville lo filma come Magritte disegna la mela, immobile dentro un tempo sospeso. Come gli oggetti magrittiani, il gangster è una delle immagini chiave del suo vocabolario.
Melville domanda a Delon di fare il minimo e Delon domanda solo di fare l’attore. Davanti allo specchio che fissa per sempre il suo mito, infila il trench e aggiusta il Borsalino con un movimento della mano che scivola tre volte sulla tesa del cappello, quasi a provare il filo di lama. Delon solleva la testa in quell’istante, nel riflesso la purezza dei suoi tratti e una bellezza che uccide. Lo spettatore è di fronte a un enigma: il film mostra ma non spiega. La scena di apertura non contiene dialoghi, seguiamo un personaggio di cui non conosciamo ancora né l’identità, né la professione.
Siamo invitati nel suo tempio e a riflettere su quello che ci viene mostrato, a comprendere il mistero che si svolge sotto i nostri occhi. Il minimalismo dell’azione sposa la stilizzazione del costume, l’impermeabile e il cappello di Delon, e le note di Francois de Roubaix cadono come un rovescio su quell’impermeabile, una marcia funebre che accompagna Frank Costello fuori dalla porta e dentro la notte melvilliana. Sulla superficie dello schermo e dello specchio un guerriero senza passato disegna una traiettoria senza avvenire. Da dove arriva Frank Costello?
Sicuramente da un film noir americano ma l’esprit de finesse è decisamente francese. Ossessionato dal controllo, questo geometra del crimine si muove rapidamente senza lasciare traccia. Viene da altrove, dall’America e dal deserto francese, dagli spazi periurbani di Cocteau o dalle banlieue parigine che Melville filma come interni lontani. Melville assolda Delon e sposta il genere poliziesco su un altro piano. Un piano metafisico e inedito, alieno alla Francia gollista della fine degli anni Sessanta. Il simbolismo discreto dell’autore ‘menziona’ la filosofia orientale e la incide in apertura: un verso dal Bushido, il codice di condotta adottato dai samurai. “Non c’è solitudine più profonda di quella del samurai, tranne forse quella della tigre nella giungla”, la citazione, apocrifa e immaginata dal regista, stabilisce il tono del film: l’eroe di Melville è un felino selvaggio e del felino ha l’astuzia, l’agilità, l’implacabilità.
Nessun odio, rancore o sentimento sembrano abitarlo, la sua natura è uccidere, la sua funzione è uccidere. Come nessuno conosce l’arte di coprire le proprie tracce perché è braccato ed è solo contro tutti, contro la polizia, contro i nemici, contro la morte. Morte annunciata da un pensiero stoico posato come un timbro sui titoli di testa.
È il Giappone che ispira il titolo (originale) del film, il taoismo la filosofia del ritiro dal mondo per cogliere meglio il corso delle cose. Per Costello si tratta fin dalle prime battute di comprendere il proprio destino e di attenderlo. E al centro di quel viaggio metafisico, che accoglie la morte come aveva previsto, Delon impressiona à jamais la pellicola, la sua silhouette non occupa lo spazio, lo invade come la pomme di Magritte (“La Chambre d’écoute”).
Nel ‘quadro’ melvilliano le linee di fuga guidano lo sguardo verso il centro della stanza, verso quel volto terribilmente bello, l’ultimo (e struggente) segno di una vita possibile sullo schermo. Solo la porta, alla sinistra di chi guarda, offre una via d’uscita di fronte all’enormità dell’attore, il ‘frutto’ di Melville, còlto e fissato per sempre a “6 heures du soir”. L’ora è scritta come una scadenza sull’avvio. In tutta la cronologia dei personaggi di Delon, la data più importante da ricordare è “sabato 4 aprile alle 6 di sera”. Quando fuori piove e l’eroe zen fa la sua ronda a blu(mel)ville.
Il film
Frank Costello faccia d'angelo
Noir - Francia/Italia 1967 - durata 107’
Titolo originale: Le Samouraï
Regia: Jean-Pierre Melville
Con Alain Delon, Nathalie Delon, François Périer, Cathy Rosier, Catherine Jourdan, Jacques Leroy
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