No, non siete entrati nella sala sbagliata e no, non è un abbaglio quello che guardate, perché Top Gun: Maverick è Top Gun. Lo è a tal punto che la sua alba sul tramonto, i titoli bianchi su fondo nero, le note eighties sui decolli e la portaerei alla golden hour producono un’impressione curiosa: il tempo non è passato, il 1986 è lì, davanti ai nostri occhi, intatto, sovrano.
L’ouverture di Joseph Kosinski ‘risuona’ quella di Tony Scott col tema vangelisiano di Harold Faltermeyer e Steve Stevens (Top Gun Anthem). Un rintocco e abbiamo di nuovo vent’anni. Poi la musica, che ricama note tra i cavi tesi della piattaforma e lo splendore plastico delle maestranze, graffia Danger Zone di Kenny Loggins, atterra su un hangar e prende alla schiena una silhouette che conosciamo bene.
Un propulsore che spinge il passato fino al nostro tormentato presente. Perché Tom Cruise incarna da solo gli anni Ottanta, quando sognavamo la California e ‘schiacciavamo’ i tramonti dietro le torri di cemento delle nostre città. L’hinterland come Santa Monica, come Venice Beach, come Hollywood.
Comincia così Top Gun: Maverick, che riesce nell’impresa di copiare l’originale e di superarlo. È lo stesso film ma in meglio. Tecnicamente identico, spiritualmente inconciliabile. Un monumento (mobile) alla gloria del divo americano, dio eterno del cinema d’azione. È la lotta del passato per restare nel presente, la prova che il cinema non è morto, che Tom Cruise non morirà mai, che tutto è possibile. Qualcuno proverà a convincervi che il film racconti la storia di un pilota da caccia sexy e ribelle, ma non fatevi ingannare e osservate bene i titoli di testa, che chiariscono in un colpo d’ali il (vero) soggetto del film: l’immortalità di Tom Cruise.
Dietro un vecchio aereo in riparazione, la camera ne rivela finalmente il volto. E al cinema un’emozione si regge su poche cose. Può bastare l’associazione di un volto e di un suono. Il volto di Tom Cruise, intento a riparare l’oggetto della sua passione, è l’unico ricettacolo di quell’emozione, l’inquadratura indugia fino a suggerire un conflitto tra quello che la scena dice (l’improvvisa consapevolezza, come un morso, che il tempo è passato) e quello che leggiamo sul suo viso (su cui il tempo non passa). Uno iato perturbante.
La camera scivola nell’hangar, rifugio dell’eroe, lo segue e poi lo anticipa, lo scarta e poi vira su un muro di ricordi. Un fantasma ci viene incontro da una fotografia, è Goose, il suo co-pilota, morto anni prima in un incidente di cui non riesce a disfarsi. Il passato rimonta come un’onda, lontano e vicino, familiare e straniero, dolce e vertiginoso.
Kosinski, che ha debuttato con Tron: Legacy, il primo legacyquel, un nuovo tipo di rilancio commerciale dove la nuova generazione parte alla ricerca della vecchia per rivisitarla e rivisitarne le trame originali, scopre le carte: precipitare un corpo immortale in una finzione che riposa interamente sulla nostalgia. Accessorio dopo accessorio, la camera ‘infila’ la t-shirt bianca, la giacca ‘da volo’, le chiavi della moto, i Ray-Ban, una Kawasaki supercool... e si impenna col suo eroe in un crescendo musicale e ben identificabile per lo spettatore.
Come una biglia lanciata da un flipper, Tom Cruise abbandona la ‘rimessa’ verso un nuovo obiettivo che è sempre lo stesso: superarsi rimanendo uguale. Perché nulla cambi, contro ogni buon senso, ha deciso di non cambiare niente, di rifare se stesso in saghe a lunga tenuta, di conservare il suo viso di marmo, il sorriso carnivoro, gli addominali d’acciaio, la silhouette di giovane uomo, il vello nero e corvino, la riga laterale. E la cosa incredibile è che tutto si tiene, tutto regge.
Sul ritmo marziale del celebre tappeto musicale, Tom Cruise è umano (e gioca finemente l’emozione) e splendidamente sovrumano. Del resto è stato un vampiro, era il 1994. I conti tornano. Tornano nella longevità eccezionale, nella perfezione in cui si è auto-incarnato e nel suo prezzo, la solitudine assoluta.
La ricerca insaziabile di giovinezza non è solamente un peccato d’orgoglio, è anche un peso, è soprattutto il suo destino, la tragedia di vedere le persone comuni intorno a lui appassire, invecchiare, morire. Come in Intervista col vampiro, Tom Cruise attraversa i secoli e l’atmosfera, immutato eppure cambiato. È lui il cambiamento migliore, la ‘meta emozione’ del film. Nel 2022 è sempre un maverick, la testa calda che cerca ancora di superare i suoi limiti, ignorando scientemente le regole e i protocolli, ma non è più l’eroe che contempliamo ma l’attore. Se in Top Gun incarnava un golden boy senza rilievo, a cui rubava regolarmente la scena Val Kilmer, oggi è la più grande star in action del suo tempo, forgiato nel primo e coltivato da allora fino a farsi creatura iperbolica e supersonica nella nuova versione.
Cinque minuti spaccati per un’introduzione che impone immediatamente il film come un ‘apparecchio’ teorico. Dal suo primo rombo, Top Gun: Maverick nutre il mito, il debutto generico che ricalca quello originale, e contraddice le attese del legacyquel nostalgico che avrebbe potuto essere, che l’industria e le sue nuove ricette avrebbero voluto che fosse. La trasmissione è centrale nel film ma l’eroe resta lui, eterno ‘cascatore’ dal carattere divino. Pete ‘Maverick’ Mitchell cavalca un F-18 e tenta l’impossibile tra cielo e terra, atmosfera e stratosfera. Maverick o Hunt, solo a Tom gli dèi hanno concesso di volare più vicino al sole.
Il film
Top Gun: Maverick
Azione - USA 2021 - durata 131’
Titolo originale: Top Gun: Maverick
Regia: Joseph Kosinski
Con Tom Cruise, Miles Teller, Jennifer Connelly, Jon Hamm, Glen Powell, Lewis Pullman
Al cinema: Uscita in Italia il 25/05/2022
in streaming: su Apple TV Microsoft Store Google Play Movies Rakuten TV Amazon Video Infinity Selection Amazon Channel Infinity+ Timvision
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