Zeros and Ones - La recensione

«Ho sempre più l’impressione che il tempo non esista affatto, ma esistano soltanto spazi differenti, incastrati gli uni negli altri, in base a una superiore stereometria». Questo è il giudizio di Austerlitz, come riporta Winfried Sebald nelle pagine dell’omonimo romanzo. Questa è la sensazione che si ha di fronte alle immagini di Zeros and Ones, film con cui Abel Ferrara ha vinto il Pardo per la migliore regia a Locarno 74.

Come sempre un viaggio, anche stavolta al termine della notte. Ma siamo così certi che l’oscuro complotto internazionale che vede coinvolti due gemelli - un soldato, JJ, e un rivoluzionario, Justin -, sprofondati in un mondo sotto confinamento scosso da foschi umori apocalittici, avvenga tutto in una notte? Ad attentare alla linearità temporale sono i numerosi device e le molteplici interfacce che spalancano nel buio innumerevoli finestre rivolte su altrettanti possibili altrove in cui il film sprofonda, venendo così risucchiato nel gorgo della messa in abisso (non è un caso che le domande che sentiamo ripetere più spesso siano «dove?» e «quando?»).

A turbare ulteriormente le coordinate e ad amplificare la sensazione di essere al centro di un allucinatorio gioco di specchi è la cornice che racchiude il film nella quale Ethan Hawke (protagonista nel duplice ruolo di JJ/Justin) si rivolge a noi parlandoci - o almeno così siamo portati a credere - dallo schermo del proprio PC («...Abbiamo fatto il film! E io l’ho appena guardato, e voi l’avete appena guardato»). Fra i molti lavori visti, Zeros and Ones è forse quello sa cogliere meglio le tensioni, le questioni e i deragliamenti di senso conseguenti al COVID-19, senza aver neppure bisogno di chiamarlo in causa.

Il film