La maggior parte delle immagini che conserviamo dell’11 settembre sono quelle di una distruzione di massa, di una folla in fuga, di polvere, di cenere e di fiamme. Ma The Falling Man si concentra su una vita, su una morte, su un uomo che cade sullo sfondo di un décor architettonico. La fotografia di Richard Drew ha fissato la traiettoria di un uomo precipitato nel cielo e sospeso nel vuoto come se galleggiasse, un equilibrio geometrico così improbabile da diventare notevole.
Il corpo è incredibilmente tenuto, la posizione delle gambe, controllata e distesa, è di una perfezione glaciale e tragica. Lo diremmo un salto abilmente periglioso. A testa in giù e perfettamente verticale tra le linee vertiginose della Torre Nord del World Trade Center, è un proiettile del destino in una parentesi folgorante. È l’uomo gettato nell’abisso materiale e spirituale, nel vuoto infinito verso la morte.
Sei anni dopo la tragedia e lo scatto controverso escono due opere ossessionate dall’idea della caduta: L’uomo che cade di Don DeLillo e Mad Men di Matthew Weiner. Dalla tragedia dell’11 settembre 2001 tirano una conclusione acrobatica: New York è popolata da elettroni in caduta libera. Non è la prima volta che DeLillo (Americana) e Weiner (I Soprano) si interessano alla lotta dell’uomo col suo centro di gravità. La caduta è il loro tema di predilezione e tutti due eccellono nell’arte dell’attacco. Quella ‘frase’ che innesca la scrittura, di un libro o di una serie.
Matthew Weiner ha lavorato duro per trovarla ed è partito da un’immagine: un uomo che prende la metro, esce sulle strade di New York, entra in ascensore, percorre un corridoio fino al suo ufficio, apre la finestra e salta nel vuoto. Nei disegni preparatori della sigla Don Draper si schiantava al suolo andando in frantumi come un bicchiere di bourbon ma i suicidi disperati dell’11 settembre erano ancora troppo freschi nell’immaginario di un’America traumatizzata. Weiner e il team di Imaginary Forces, specializzato nel design di sigle e trailer, decidono altrimenti, qualcosa di surreale, che sembra uscito da un sogno.
Qualcosa che posa il quadro diegetico e concentra con classe tutta l’essenza di Mad Men, qualcosa che diventa cult in 38 secondi e illustra la caduta di un uomo e di un mondo. Il risultato lo conosciamo tutti e lascia a bocca aperta. È quasi sempre una metafora fisica che viene in mente quando si parla di una grande romanzo (americano), come se si dovesse passare attraverso il corpo per dire un’opera dello spirito. Ma è un’ombra quella che seguiamo nei titoli di testa, che i suoi disegnatori chiamano sempre “falling guy”. La mancanza di dettagli della figura solleva uno dei temi della serie: la questione dell’identità e la capacità di adattarsi al proprio ambiente e al proprio tempo.
La silhouette è di Jon Hamm, che interpreta Don Draper, il protagonista, e diventa immediatamente un’icona glamour, riportando in auge il fedora e una virilità che non si vedeva sullo schermo dai tempi dell’età dell’oro hollywoodiano. Nessuno sa stare al banco di un bar come lui ma l’attore non riuscirà più a disfarsi del ricordo di Cary Grant in Intrigo internazionale, nemmeno nel futuro prossimo di Black Mirror.
La sua sagoma scura, nell’inquadratura nessun altro elemento è così nero, entra in ufficio, posa la sua ventiquattrore e improvvisamente tutto crolla, tutto si rovescia. Il creativo di Madison Avenue cade, a lungo, sullo sfondo di grattacieli che riflettono slogan pubblicitari, al cuore della sua vita professionale. Le informazioni abituali (attori, produzione, sceneggiatori, titoli...) scorrono insieme ai ritratti di donne, ai volti e ai corpi femminili si mescolano i bicchieri, le due debolezze del personaggio.
Se Matthew Weiner porta la storia (l’uomo che salta dalla finestra del suo ufficio), Imaginary Forces aggiunge le pubblicità retrò, simbolo degli anni gloriosi dell’economia americana e del sogno nazionale che si sarebbe rovesciato in un incubo per una parte del Paese. Il richiamo all’estetica di Saul Bass, mitico cartellonista e disegnatore di titoli di testa degli anni Cinquanta (Vertigo, Intrigo internazionale, West Side Story, Casinò...), è evidente. Ritroviamo le sue forme caratteristiche nel personaggio dell’uomo che cade, le sue linee di fuga in quelle dei grattacieli, il suo gusto per gli sfondi monocromatici e spogli e persino il suo carattere tipografico, aggiornato ma sempre chiaro, netto, senza grazie.
L’effetto ricercato è quello del riferimento culturale al periodo storico in cui comincia la serie, non gli anni Sessanta ma il 1960, a cavallo di due epoche e al mattino di un decennio che sarebbe stato il teatro di sconvolgimenti sociali e culturali in risonanza coi nostri giorni (movimenti di protesta, spinte emancipatrici, esplosione dell’iperconsumo, amplificazione della cultura pop e della televisione, valorizzazione del pensiero sovversivo...).
La musica, A Beautiful Mine di RJD2, corrisponde e completa l’impressione di una rivoluzione irresistibile sul piano della mentalità. Dopo una sonorità classica, che ricorda quella di Bernard Herrmann in Hitchcock, note più ritmate e contemporanee accompagnano la caduta della silhouette e traghettano, quasi contro la sua volontà, l’opening di Mad Men nella modernità. Ma la sigla non è ancora finita. L’ultima immagine è quella del protagonista accomodato su un divano, sigaretta in mano e pieno controllo di ciò che sta accadendo intorno a lui, le spalle al mondo e il volto rivolto verso il vuoto. Perché l’uomo che cade in sogno non finisce mai, la caduta è interiore e ha un senso di inquieta assenza di peso.
Quella di Don Draper è interiore e metonimica insieme. L’antieroe di Mad Men ha fatto dell’interiorizzazione del più piccolo fastidio e del più grande dramma la sua specialità e la sua forza. Imperturbabile, è la roccia contro cui si frangono i cambiamenti del mondo fuori, erodendolo lentamente ma inesorabilmente. Metonimica perché rappresenta la società americana tutta intera, prigioniera delle sue certezze autodistruttrici. Il protagonista occupa il quadro come al principio, solo che adesso è rilassato, la postura accentua la sua coolitudine e ‘sostiene’ infine il logo della serie. Il font è ‘maiuscolo’, elegante, netto, discreto. I valori bianco/nero fissano i limiti polari del nostro campo di percezione su cui interviene un rosso saturo che impone la forza di attrazione dello sguardo. Da un mondo in bianco e nero emerge una brutale policromia, una dichiarazione di intenti che annuncia un’affermazione autoriale consapevole e assertiva: non si tratta di imitare lo stile di un’epoca ma di restituirla nei suoi ‘veri colori’. La coerenza tra la dichiarazione e la sua realizzazione artistica rafforza l’effetto della sigla, ancorandola per sempre negli occhi dello spettatore. La vertigine (del cielo e del suolo) è servita. Enjoy.
La serie tv
Mad Men
Drammatico - USA 2007 - durata 50’
Titolo originale: Mad Men
Creato da: Matthew Weiner
Con Daniel Hall, Yaani King Mondschein, Jon Hamm, Elisabeth Moss, Samantha Hanratty, Alex Wexo
in streaming: su Mediaset Infinity Netflix Netflix basic with Ads
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