I titoli di testa scorrono sullo sfondo di una strada desolata, la linea di mezzeria spezzata ci aiuta a capire la direzione in cui ci muoviamo. Stiamo guardando indietro: la prospettiva in cui siamo calati non vede l’orizzonte del futuro, ma la linea di fuga di un passato che ci si lascia alle spalle.
Su una strada del genere, molti anni dopo, un altro autore da B Movies come Monte Hellman avrebbe chiuso un altro storico road movie come Two-Line Backtop (Strada a doppia corsia) bruciando letteralmente la pellicola, ma siano nel ‘45 e Edgar G. Ulmer sta aprendo Detour (Deviazione per l’inferno), che è prima di tutto un noir a fuoco lento, scritto con l’inchiostro del destino su una strada che non conosce libertà.
Il vago effetto trompe l’oeil, che cade sulla direzione di marcia, inganna sottilmente i titoli di testa: classico inciampo per lo spettatore ancora disattento sui cartelli dei credit e magari anche vagamente abbagliato, nel buio della sala, dalla troppa luce di quella strada deserta vista con occhi ancora vergini. O forse vista con gli occhi esausti di Tom Neal, che di lì a poco, il tempo di uno stacco, vedremo camminare sul ciglio di quella strada col suo cappello stazzonato in testa, il vestito trasandato, le mani in tasca, il passo stanco, arreso a quella notte e a quella desolazione che lo circonda.
Al Roberts, questo il nome del suo personaggio, è un musicista, un pianista di nightclub di New York, ma questo dobbiamo aspettare qualche minuto per scoprirlo. Per il momento è qualcosa di molto simile a un hobo perso nella notte. Il tempo di tre dissolvenze incrociate, a descrivere un’ellissi temporale persa nel vuoto, e ci ritroviamo con lui a bordo di una decappottabile guidata da un uomo che gli dice che sta per svoltare e il loro tragitto insieme è finito.
Alle loro spalle il buio della notte è animato dalle luci di una città: insegne al neon che parlano di Reno (The biggest little city in the world) ci dicono che siamo dall’altra parte dell’America. E infatti un’altra dissolvenza incrociata ci porta nel Nevada Diner, dove ora Al sta sorseggiando un caffè. La linea di fuga questa volta è offerta dal bancone del bar, che crea una prospettiva alla quale Ulmer si affiderà per tutta la scena: l’attacco sulla petulante cameriera, che chiede al poco gradito autostoppista se vuole altro, rivela con una lieve carrellata indietro Al in primo piano, seduto sul suo sgabello, la tazza in mano.
La sua aria stanca e solitaria è in netto contrasto con la giovialità d’occasione del camionista che è seduto sullo sgabello infondo e gli rivolge la parola, incurante del suo evidente bisogno di esser lasciato in pace. Un’altra leggera carrellata, questa volta in avanti, riproduce in senso contrario il movimento del camionista, che si avvicina allo sconosciuto per chiedergli dove sia diretto.
Al resta inchiodato sul bordo sinistro dell’inquadratura, per un attimo fuori fuoco, a lasciare la scena all’importuno personaggio che vuole sapere troppo da quell’uomo senza storia che segue la direzione di tutti i disgraziati in cerca di fortuna: da Est verso Ovest, quella che ha fatto la storia d’America.
Un pugno sbattuto sul tavolo da Al smorza la forzata cordialità e ristabilisce le giuste distanze. E infatti un puntuale carrello indietro riporta la macchina da presa al punto di partenza, lungo la linea del bancone. Il camionista cambia degli spiccioli e si dirige verso il juke-box, mentre la cameriera torna ad essere petulante con Al, che riprende la sua tazza in mano e sorseggia il caffè. A questo punto Ulmer stacca e cambia prospettiva, scavalca la la linea del bancone e si pone di tre quarti di fronte ad Al, mostrando alle sue spalle il juke-box e il camionista che mette una canzone, la hit del momento. Quanto basta per fargli lasciare la tazza sul banco e voltarsi infuriato, imponendo all’autista di togliere quel disco...
E qui un po’ tutto crolla, perché lo spettatore si ritrova senza coordinate per capire il comportamento di Al, che sino a quel punto era solo un disgraziato in cerca di pace, ma ora appare un poveraccio solo e fuori di testa. Ulmer costruisce lo scarto con una sapienza visiva straordinaria: cerca lo stacco e il cambio di prospettiva in maniera tale da mantenere quella linea prospettica offerta dal bancone, divisiva tra la sfera del mondo reale e quella mentale del destino avverso in cui è calato il protagonista.
Ma non finisce qui, il meglio deve ancora arrivare, perché quando poi, pochi istanti dopo, finalmente ci offrirà le ragioni di Al, Ulmer lavorerà proprio sulla linea di quel bancone per costruire lo scarto tra la dimensione oggettiva del presente e quella soggettiva del passato, su cui andrà a innescare il flashback che darà avvio alla narrazione del film. Il camionista rivendica il suo diritto ad ascoltare la musica che preferisce, il cameriere interviene in sua difesa, l’ordine è ristabilito: Al resta solo coi suoi pensieri e col caffè che stringe tra le mani. Una lieve carrellata in avanti stringe sul suo primo piano, le luci si abbassano oscurando la realtà, un taglio di luce illumina i suoi occhi, la sua voce fuori campo snocciola le ragioni deliranti e doloranti del suo disappunto...
Ed è qui che Ulmer compie il gesto filmico che fa la differenza tra un regista e un maestro: abbandona l’espressione stravolta del suo protagonista e, con una lieve panoramica in basso, fissa il quadro sul surreale dettaglio della tazza bianca di Al: una tazza palesemente fuori scala, evidente traslazione scenografica di quella vera tazza posata sul bancone alla quale abbiamo visto Al aggrapparsi. Una tazza che è la sua ancora di salvataggio per poter restare lì e allora, in quello spazio reale del Nevada Diner, lontano dal passato degli eventi accaduti che, di lì a qualche secondo, un’altra dissolvenza incrociata ci offrirà, giocando sull’allitterazione semantica tra il bordo della tazza, il cerchio del disco che gira nel juke-box (raggiunto intanto con una magnifica carrettata attraverso il buio irreale del bar) e la circonferenza della grancassa della batteria dell’orchestra che suonava quella canzone nel suo passato felice a New York...
È così che inizia Deviazione per l’inferno, magnifico road (to nowhere) movie seminale!
Il film
Deviazione per l'inferno
Noir - USA 1945 - durata 65’
Titolo originale: Detour
Regia: Edgar G. Ulmer
Con Tom Neal, Ann Savage, Claudia Drake, Edmund MacDonald
in streaming: su Cultpix
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