In principio è il dettaglio sullo sportello di una stufa accesa aperto da una mano che scende dalla parte alta e destra del quadro fino al centro dell’inquadratura; dal basso l’altra mano getta un bicchiere d’acqua sul fuoco. Richiuso lo sportello, la macchina da presa sale verso destra mostrando il corpo di chi ha spento la stufa e rivelando, attraverso un totale, il contesto - si tratta di un barista che avvisa i clienti: «Sono le dieci! Si chiude!». Ma non è ancora il momento della buonanotte perché János Valuska deve  mostrare qualcosa.

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Le armonie di Werckmeister

A chiamarlo in causa, dal fondo, in prossimità del bancone, è un uomo che, col passo rallentato di chi rincaserà con una sbronza fina, si conquista il primo piano: «Valuska, dai. Facci vedere». Ed eccolo entrare in scena, sempre da destra, anche lui in primo piano, inquadrato di tre quarti di spalle. I due arretrano fino a mostrarsi, a figura intera, in mezzo al locale, mentre attorno gli altri avventori sgomberano il bar da tavoli e sedie. «Tu sei il Sole», così dice Valuska a chi l’ha interpellato e poi coinvolge nella rappresentazione altre due persone, rispettivamente nella parte della Terra e della Luna. «Ora», prosegue János, «avremo una spiegazione grazie alla quale anche noi, persone semplici... potremo comprendere qualcosa sull’immortalità. Vi prego soltanto di venire con me in uno spazio sconfinato. Lì regna la stabilità... la serenità... la pace. E il vuoto infinito. Immaginate che qui, in questo infinito silenzio sonoro... tutto sia avvolto da un’oscurità impenetrabile».

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Le armonie di Werckmeister

I tre cominciano a svolgere i ruoli a loro assegnati, muovendosi incerti e barcollanti, scoordinati e sgraziati: un sistema orbitale imperfetto e ubriaco. Mentre il primo rimane fermo, il secondo, ruotando attorno al proprio asse, gli gira attorno. Lo stesso fa il terzo intorno al secondo. La m.d.p., che fin qui ha assecondato diligentemente il farsi della scena, viene poco a poco trascinata nella danza cosmica di questa pauperistica galassia. Fino al momento dell’eclissi.

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Improvvisamente scoppia il dramma: «In quel preciso attimo», racconta Valuska, «l’aria si raffredda inaspettatamente. Lo sentite anche voi? Il cielo si scurisce... e tutto diventa buio. I cani guaiscono... le lepri si nascondono... il cervo corre impazzito. In questo tramonto, spaventoso e inconcepibile, anche gli uccelli sono turbati e volano ai loro nidi». E proprio nel momento in cui afferma: «Ora il silenzio è totale!» entra, in contrappunto, la musica palpitante di Mihály Víg che sembra prendere il controllo della camera, la quale, con un moto ascensionale, fissa la scena dall’alto verso il basso, quasi da una distanza oltremondana.

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Ma, riprende Valuska, «Non c’è motivo di avere paura. Non è ancora finita». Sì, perché il sole tornerà a splendere e a diffondersi il calore. E mentre pronuncia «Tutti sono presi dalla commozione... perché si liberano dall’oscurità», i presenti, come rapiti da un moto infinito di corrispondenze, si intrecciano e cominciano a danzare fino a quando la ronda non viene infranta dal barista che dirigendosi vero la porta tuona verso i clienti: «Ora basta! Fuori tutti, branco di ubriaconi!». Valuska è il primo a uscire di scena. Stacco.

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L’incipit di Le armonie di Werckmeister di Béla Tarr è un avvolgente piano-sequenza di 10 minuti e 44 secondi. Se tutto accade davanti ai nostri occhi senza stacchi è perché le immagini sono parte di un flusso e spetta a noi entrare in sintonia con questo ritmo lasciandoci trascinare nelle sue derive. Ogni sequenza per Tarr necessita di tempi propri, che non possono essere stabiliti a priori, ma che sono dettati da una necessità interiore. Lo sguardo del regista rivolto da subito e fino all’ultimo verso un’umanità inconsapevole, condannata da sempre e per sempre ad abitare il lato faticoso della vita, l’ha portato a confrontarsi con il sentimento della fine conseguente alla «trionfante rovina», per riprendere un’espressione utilizzata da László Krasznahorkai in Satantango; e le ragioni della rovina sono da rintracciare nel «satanico che domina l’uomo, che per questo corrompe ogni cosa intorno a sé, se gli viene dato sufficiente tempo per portare a compimento ciò a cui è predestinato».

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Le armonie di Werckmeister

È questo contro cui si scontra János, l’ultimo puro-folle del cinema di Tarr, un’anima tribolante che corre via veloce, instancabile e disperata, per le strade notturne di una cittadina senza nome. Non si occupa, come dovrebbe, di consegnare la posta, mestiere che  gli è stato pietosamente affidato, per mimare, con i suoi passi, l’eterno miracolo che occupa ogni istante dei suoi pensieri: la maestosa perfezione del sistema solare. Contro di lui incombono però le forze del caos decise a corrompere e sfasciare il sogno di poter credere nell’armonia, che l’ordine possa ancora governare qualcosa. E purtroppo la comprensione dell’impossibilità, dell’inutilità del sogno, porta alla pazzia. «Questo film - ha dichiarato Tarr - è molto più di una semplice storia per me. Riguarda un conflitto eterno: la lotta secolare tra l’istinto barbarico e la civilizzazione; riguarda un processo storico che ha definito gli ultimi due secoli di tutta l’Europa orientale».

Autore

Matteo Marelli

«Il critico non fa il cinema, ci va. La sua grandezza – non il suo limite – è questa: teniamocela stretta»

Il film

locandina Le armonie di Werckmeister

Le armonie di Werckmeister

Drammatico - Ungheria/Italia/Germania/Francia 2000 - durata 140’

Titolo originale: Werckmeister harmóniák

Regia: Béla Tarr

Con Lars Rudolph, Peter Fitz, Hanna Schygulla, Mihály Kormos