Chi è il Pinocchio di Guillermo del Toro? Lo spettatore frettoloso non faticherà a rispondere chiamando in causa le parole d’ordine di sempre: il Pinocchio di Del Toro è l’ennesimo mostro gentile, il solito mutaforma dal cuore d’oro, l’ultimo arrivato nella nutrita famiglia di meraviglie aberranti immaginata dal regista messicano. Non è del tutto falso: questo Pinocchio è un ibrido sconcertante, un Frankenstein in erba, un manichino sospeso da qualche parte tra CGI e stop motion (e dunque tra algoritmo e mano umana, tra sintetico e analogico).
Come tutte le marionette fotorealistiche che affollano il nostro immaginario, non è perturbante perché è falso, ma perché sembra vero. Più che a un fauno o a un mostro della laguna, a ben guardare, Pinocchio somiglia però ai robottoni animati di Pacific Rim: è un surrogato, una bambola gonfiabile, un corpo agito dall’esterno. E difatti, in barba all’ortodossia collodiana, questo bambino “quasi vero” la vita non se la porta da dentro, non la eredita dalle nervature del legno: il soffio vitale gli viene instillato a posteriori, quasi per dispetto (e di certo contro la volontà di Mastro Geppetto che un figlio in carne e ossa, prima di questo sciocco burattino, ce l’aveva già).
Il Pinocchio di Del Toro è una statuina in un presepe vivente, ed è senza dubbio un povero Cristo: invocherà il Padre inchiodato a una croce, e come una croce porterà sulle sue spalle i mali del mondo, scontando il peccato originale di non essere lui il figlio unico, il figlio vero, il figlio tanto amato. Morirà e risorgerà, attraversando un limbo-utero e un ventre di balena, ma senza mai passare per la Disneyland dei piaceri: per Del Toro, che riambienta Pinocchio nel Ventennio, è la Storia il paese dei balocchi, la terra della cuccagna da saccheggiare, il repertorio da cui prendere a prestito i termini di metafore trasparenti (in un mondo di “uomini veri”, il burattino è l’unico a muoversi liberamente, affrancato dai fili intessuti dalla propaganda fascista).
Mentre Robert Zemeckis rifà il classico del 1940 e Matteo Garrone guarda direttamente al modello ottocentesco (per restare alle più recenti riduzioni), Guillermo Del Toro vampirizza l’ipertesto-Pinocchio per trarne linfa digeribile al suo palato, per aggiustarlo alla sua maniera, alla sua misura delle cose. La favola-enigma di Collodi è sciolta, semplificata, ridotta a paraboletta cristallina sui figli che amano i propri papà, e che vorrebbero solo essere riamati. Guillermo del Toro è uno dei pochi registi, oggi, in grado di immaginarsi mondi immediatamente e incontrovertibilmente suoi; uno degli unici capaci di inventarsi galassie intere, meravigliose e palpitanti di vita, e uno talmente a suo agio nel ruolo di cantastorie da imbastire un suo Guillermo del Toro presenta (vedi il recentissimo Cabinet of Curiosities): si può rimproverare, a uno così, di non poter smettere di essere se stesso? Di non riuscire a evadere dalla sua personale fiera delle illusioni?
Il film
Pinocchio
Animazione - USA, Messico 2022 - durata 105’
Titolo originale: Pinocchio
Regia: Guillermo Del Toro, Mark Gustafson
Al cinema: Uscita in Italia il 04/12/2022
in streaming: su Netflix Netflix basic with Ads
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