Il pluripremiato regista iraniano Jafar Panahi, finché ancora può farlo - adesso è ai domiciliari, per sei anni - fugge al confine del paese per seguire da vicino le riprese del suo nuovo film. Una coppia iraniana, bloccata in Turchia, cerca di volare a Parigi. Zara ottiene il passaporto falso, lui no. Ma lei non lo abbandona: senza l’amato mai si muoverà… Questa la trama. Panahi, che si è trasferito apposta nel villaggio di Jabbar, cerca di guidare, al pc, le riprese del film. Noi lo seguiamo.
Nel 2010 gli è stato vietato di girare film: per 20 anni non potrà fare film normali, al massimo home movie a troupe ridotta, senza star. Come Taxi Teheran e Tre volti, che comunque hanno vinto l’Orso d’oro a Berlino e il premio per la sceneggiatura a Cannes. E visto che siamo ai confini con la Turchia ripensiamo al cineasta curdo Yilmaz Güney, che proprio dal carcere continuava, negli anni 70, a dirigere i suoi film incandescenti sui traumi dello scontro modernità/patriarcato, mentre collezionava sia ulteriori anni di prigione (per reati di opinione) sia altri premi.
In questo nuovo film, che sembra scherzoso nel titolo, ma nel quale non mancano ben due tragedie d’amore, è ancora Panahi il protagonista, nella parte di se stesso: la vita nel villaggio, l’appartamento che ha affittato, il gentile padrone di casa, cui presta la cinepresa per riprendere le nozze in famiglia e i riti arcaici che le accompagnano, i vicini e perfino lo “sceriffo”, che sembra ospitale ma è meglio non fidarsi («l’agricoltura qui è in crisi» gli dice «va favorito il turismo…»). Arriva anche la “tentazione repressa” (e da tutti auspicata) quando Panahi giunge, di notte, al confine, terra di contrabbandieri, e i suoi collaboratori lo tentano: «Vieni in Turchia a dirigere il film!». Ma Panahi non scappa. A un tratto, inaspettato, ecco un doppio “momento vuoto”, l’attimo aniconico, il “frammento mancante”. Si tratta di una scena sottratta allo spettatore, un istante che avrà però conseguenze devastanti.
Come la scomparsa in mare della domestica in About Elly o la spinta “omicida” sul pianerottolo in Una separazione di Farhadi. Due immagini invisibili che nella ricezione diventano più reali della realtà: Zara aggredisce il regista, Panahi, perché vampirizza la verità e allude a una scena che non abbiamo visto; la seconda è l’istantanea, forse scattata da Panahi nel villaggio - dice un bimbo pettegolo - ma prova schiacciante e invisibile di un convegno amoroso, “illegale” secondo i costumi di lì. Mentre in un film di Farhadi la morale islamista, fattasi diritto armato, sprofonda tutti (compreso lo spettatore) in un delirante vortice logico-religioso, qui siamo in una banale faida familiare da interesse materiale spiccio camuffata da legge sacra (già, Saman Abbas). Gli orsi che minaccerebbero il villaggio - spiegherà un anziano - non esistono, sono un’invenzione nostra per terrorizzare e fare in modo che i potenti restino per sempre potenti. In entrambi i casi l’invito è alla fuga. Come ha fatto nel 1979, all’arrivo di Khomeyni, Hengameh Panahi, fondatrice di Celluloid Dreams, e ringraziata dal regista (e da tutto il cinema mondiale) nei titoli di coda.
Il film
Gli orsi non esistono
Drammatico - Iran 2022 - durata 106’
Titolo originale: No Bears
Regia: Jafar Panahi
Con Mina Kavani, Naser Hashemi, Vahid Mobasheri, Bakhtiyar Panjeei, Mina Khosrovani
Al cinema: Uscita in Italia il 06/10/2022
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