Un campo di grano, le montagne sullo sfondo. La prima inquadratura di Una calibro 20 per lo specialista, sui titoli di testa, si distende a perdita d’occhio. Ed è già evidentemente un’immagine di Cimino. Esemplare di quell’assurda pretesa di sfidare l’orizzonte. Il cinema che abbraccia l’infinito.
Però, subito dopo accade qualcosa di molto più significativo, quasi sorprendente. Un’auto si ferma davanti a una piccola chiesa sperduta nella prateria dell’Idaho. Il tempio eretto nel nulla, il primo segno di una comunità fordiana. Non sappiamo chi sia il tizio che sta guidando quell’auto. E perché si trovi lì.
Lo scopriremo poco dopo, ma non prima di aver sentito la predica dell’improbabile pastore Clint Eastwood. “Ricordate che siamo tutti imperfetti. Vediamo in modo imperfetto. Conosciamo in modo imperfetto”. Il riferimento, chiaro, è alla lettera di San Paolo ai Corinzi, quella dello specchio oscuro, “la nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia...”.
Ed è un rimando che suona come un’ammissione di un’impotenza umana, troppo umana. Stranissima per un regista megalomane come Cimino, ossessionato dal bisogno di dar forma compiuta alle sue idee e visioni. Subito dopo, infatti, quasi a correggere il tiro, arriva il richiamo al Libro d’Isaia, alla perfezione del regno di Dio, in cui tutti i conflitti saranno risolti, in cui “il lupo dimorerà con l’agnello, il leopardo giacerà col fanciullo”.
Ma la profezia, ovvio, è imperfetta. Non vale a cancellare la coscienza di un limite invalicabile e il presagio di un fallimento. È come se, in pochissimi istanti, sin dalle prime “battute”, Cimino avesse già raccontato tutto. La parabola della sua carriera e il senso più profondo del suo cinema. Quel dibattersi tra la ricerca dell’assoluto e l’impossibilità. Quello stare a metà tra la follia e l’utopia. Sarà sempre questione di sogni smisurati e irrealizzati, di ascese vertiginose e catastrofi. Di idee e intuizioni da concretizzare senza margine di errore, di scarto tra il progetto e l’opera. Come se non fosse concepibile l’imprevisto del set, la possibilità del compromesso e della variazione. Ma tra il piano e il compimento, c’è di mezzo la realtà. E la pratica concreta, sfiancante del cinema.
Un dramma enorme, a dispetto del tono ironico di questa sequenza “originaria”, anch’esso stranissimo. Diventerà, appena poco dopo, uno sgangherato gioco di sparatorie e fughe rocambolesche nei campi. Fino all’arrivo imprevisto di Jeff Bridges, che caricherà in macchina Eastwood e darà il via all’avventura. Thunderbolt e Lightfoot... l’Artigliere e Caribù nella versione italiana. È la prima “coppia” di Cimino, che racconterà sempre di personaggi speculari, di figure che rimandano l’una all’altra, formando chiasmi, allitterazioni, variazioni.
Vere e proprie unità di senso, anche nel conflitto. Da Mike e Nick di Il cacciatore, fino a Michael Reynolds e “Blue Monroe” di Verso il sole. Anche la naturale profondamente duale delle storie di Cimino, dunque, nasce da qui. A riprova ulteriore di quanto Una calibro 20 per lo specialista dica già molto, se non tutto. Del resto è la storia di un colpo che va a rotoli. Un piano fallito. La profezia, per una volta, si è avverata.
Il film
Una calibro 20 per lo specialista
Poliziesco - USA 1974 - durata 115’
Titolo originale: Thunderbolt and Lightfoot
Regia: Michael Cimino
Con Clint Eastwood, Jeff Bridges, George Kennedy, Geoffrey Lewis, Catherine Bach, Gary Busey
in streaming: su Apple TV Amazon Video Amazon Prime Video
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