C’è il rumore di un motore che si accende. Un’automobile esce da un garage: retromarcia, immissione nella via, partenza. Siamo la soggettiva del suo guidatore. Dalle villette con giardino, passiamo rapidamente al centro città, prima di abituarci a un orizzonte fatto di colline brulle e desertiche, e a una strada libera dalle auto.
Siamo in California, all’inizio degli anni 70. Del guidatore, che al mormorio del motore ha aggiunto le voci di una stazione radio, non sappiamo ancora nulla. Si apre così, Duel, il primo film di Steven Spielberg, girato in 13 giorni nel 1971 per una produzione televisiva targata ABC. Ancora non sapevano, i produttori, di aver dato il via a una carriera che avrebbe cambiato Hollywood per sempre. Quell’anno, il venticinquenne Steven si stava facendo le ossa in televisione (aveva da poco girato il primo episodio di Colombo, con Peter Falk) e rimase folgorato dalla lettura del racconto omonimo di Richard Matheson, pubblicato su “Playboy”.
Duel è la storia di David Mann, un uomo qualunque in un giorno qualunque, un lavoratore della classe media intento a guidare verso San Francisco attraversando il deserto. Sul suo cammino incontra un’autocisterna: la sorpassa due volte, instillando nel suo conducente (che non vede mai in volto) il desiderio di ucciderlo. È una ferocia limpida, priva di senso, che costringe David a dover lottare per la propria vita. Torniamo all’incipit.
Abbandonata la soggettiva iniziale, vediamo per qualche attimo l’auto di Mann sfilare tra le colline: è una Plymouth Valiant, una berlina umile ed elegante insieme, il simbolo di una classe sociale affacciatasi al benessere. È rossa, perché Spielberg voleva risaltasse nel panorama: quasi come un mantello da torero, messo lì per attirare il più impensabile dei tori, un mostro fatto di motore e lamiera. Quando ci viene mostrato il volto di David (un magnifico Dennis Weaver), il camion compare quasi subito sulla strada, davanti a lui.
È sporco di olio e terra, è lugubre e ferroso: una presenza quasi metafisica. Anche da qui, forse, possiamo far derivare la sensibilità distopica di George Miller, e di un film come Interceptor - Il guerriero della strada. Auto e camion si sorpassano a vicenda. La regia li segue insinuando la tensione: con la camera ad altezza asfalto che si sposta da un mezzo all’altro, con le soggettive di Mann che guarda gli specchietti retrovisori. Quando entrambi, poco dopo, si fermano a un distributore di benzina, l’effetto domino è innescato: i mezzi sono affiancati, la calma è apparente, per Mann è l’ultimo contatto con la civiltà per come la conosceva. Alla ripartenza, scatterà l’incubo.
Siamo poco dopo i dieci minuti di film, e abbiamo già tutto quanto. C’è il gusto hitchcockiano per i dettagli (come gli stivali dell’autista del camion fermo al distributore: l’unica cosa che David vede di lui, e che cercherà poi invano tra quelli indossati dai clienti di una stazione di servizio). Ci sono poi alcune istanze proprie della New Hollywood: dalla metafora del dominio delle macchine sull’uomo, alla visione del protagonista come un antieroe fragile (quasi come lo era James Stewart per Hitchcock), inerme di fronte a una quotidianità che s’incrina all’improvviso. La sua condizione è una critica alla società: la violenza e la paranoia non sono più inquadrabili con i vecchi precetti dei valori americani, perché dilagano nonostante l’ordine, la corsa al benessere, gli eroi tutti d’un pezzo; possono distruggere l’esistenza quieta e allineata di un David Mann qualsiasi. È solo nel finale, infatti, che lui trova il coraggio di passare da vittima designata a “duellante”. Nell’incipit, infine, si coglie anche la capacità di Matheson (qui sceneggiatore) di disseminare presagi. David, mentre guida, ascolta la radio: prima sente il racconto di un uomo infelice per il suo matrimonio (sentimento che prova anche lui), poi dell’inusuale abitudine di un musicista – quasi uno Scott Walker ante litteram – di suonare la carne animale (cosa che, invece, lo fa ridere della stravaganza altrui). Sono due aspetti che denotano il suo immobilismo e il suo essere benpensante. Proprio lui, che sta andando incontro a un evento che gli farà ridefinire il senso della sua vita.
Il film
Duel
Thriller - USA 1971 - durata 90’
Titolo originale: Duel
Regia: Steven Spielberg
Con Dennis Weaver, Eddie Firestone, Lou Frizzell, Tim Herbert, Jacqueline Scott, Gene Dynarski
in streaming: su Apple TV Google Play Movies Amazon Video
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