Inganno di Philip Roth è un romanzo fatto solo di dialoghi a due. Nessuna premessa, nessun contesto, nessun «lei disse, lui dice». Solo trattini, discorsi diretti, a capo. Nessun narratore: il massimo del realismo. E l’apice del fantasmatico: parole libere su carta, a cercare appigli nei corpi, nei luoghi, nei tempi, parole da associare a una voce, a un ambiente. Spettri. Ci sono uno scrittore e la sua amante, prima e dopo il sesso, durante l’adulterio. Oppure lo scrittore e amanti del passato. Sempre due: lui e una donna. Come se ogni donna fosse un’ipotesi di donna per lui.
Lo dice, perfettamente, con risentimento, l’unico uomo con cui discute, un amico che crede il protagonista sia andato a letto con la moglie: «Anche questa storia la stai banalizzando trasformandola in letteratura. Tu non sei capace di lasciare qualcosa così com’è. Limitarti a far vivere la donna sulla carta è troppo poco. Non sei disposto ad annegarti nella voce della sua fica. Devi sempre sommergerla e distorcerla nello stupido e artificioso intreccio in cui fai muovere il tuo eroe». E ancora: «Più forte è in lei l’impulso narrativo, più ne sei sedotto». E ancora: «Tu ti degni di vivere solo per tenere in vita la conversazione». Il protagonista del romanzo di Roth è, come di frequente, un Roth possibile, un alter ego con cui lo scrittore si confonde.
Così come il punctum del cinema di realismo barocco di Desplechin, narcisistico, teatrale, iperletterario, über-cinefilo, è proprio nel confondersi con storie ulteriori dei suoi protagonisti (i fantasmi di Ismael, le donne che vissero due volte a Roubaix, i teatri di Esther Kahn, i racconti di Natale). Il legarle a sé, cercandosi in esse. E quindi: qual è il confine tra vita e letteratura? Tra vita e cinema? Tra cinema e letteratura? Tra protagonista, scrittore, regista? Tra l’uomo e la donna?
Inganno è questo: la storia di un uomo che ama le donne, teneramente e appassionatamente, ma che le sa amare solo a sua smaniosa e patetica misura, da narratore, come vite che sono e non sono la sua, come ipotesi letterarie e cinematografiche, come spettri di un racconto possibile. Solo in quel luogo tra realismo e fantasma, tra il corpo e l’idea, tra la carta e la fica. Sommergendole nell’intreccio in cui fa muovere se stesso, il suo eroe. Legandole a sé, cercandosi in esse. Come se ogni persona fosse uno specchio. Vivere per tenere in vita la conversazione. Un romanzo fatto solo di dialoghi, un film a due.
Desplechin, come solo Rivette prima di lui, sa trovare nel teatro, nel corpo degli attori che incarnano la parola, la grandiosità narrativa, gioiosa e disperata, della confusione tra la vita e il fantasma. Così, mentre gli spazi si fanno e sfanno, si ancorano al reale o si fanno mentali, inventati da un cinema in interni d’ingegno liberissimo, primitivo e moderno, sono Denis Podalydès e Léa Seydoux (e tra i comprimari un’inequiparabile Emmanuelle Devos) a essere il punto cruciale: il luogo in cui le cose si trasformano, legano e confondono. Tutto questo piccolo film d’attori. Tutto questo semplice capolavoro.
Il film
Tromperie - Inganno
Drammatico - Francia 2021 - durata 105’
Titolo originale: Tromperie
Regia: Arnaud Desplechin
Con Denis Podalydès, Léa Seydoux, Emmanuelle Devos, Miglen Mirtchev, Anouk Grinberg, Rebecca Marder
Al cinema: Uscita in Italia il 28/04/2022
in streaming: su Amazon Prime Video Amazon Video Timvision
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