Il sogno di una vita: smascherare il set. Prima di dialogare direttamente con Alfred Hitchcock, Howard Hawks, Jean Renoir, Ingmar Bergman, Roberto Rossellini, Ernst Lubitsch, Robert Bresson e Marilyn Monroe, l’inizio di Effetto notte esaudisce quello che è stato probabilmente il desiderio impossibile di tutto il cinema di Truffaut: far sentire la sua presenza come cineasta (qui il suo doppio è il regista Ferrand) e della troupe in ogni inquadratura.

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Effetto notte

Del resto, sin da I 400 colpi, il cineasta è sempre stato un fantasma che ha attraversato tutto il film. Non gli è mai bastata la fugace apparizione hitchcockiana. Ha sempre avuto bisogno di un dialogo continuo come un flusso di coscienza ininterrotto. Sui titoli di testa c’è già il film (quasi) finito, in post-produzione con la prova delle musiche di Georges Delerue “Non voglio stacchi”. La musica prima delle immagini, ancora il processo di genesi, creazione prima del final-cut. Dietro lo schermo nero, si sente già tutto il respiro del film, anzi di tutto il cinema di Truffaut. Il set come gioia, euforia come unico luogo dove poter vivere.

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Non solo. Il cinema come dipendenza, anzi, come una droga. “Non voglio stacchi” diventa anche l’esigenza, straordinariamente egoista, di non separarsi dal suo film. Forse Truffaut vorrebbe che non fosse mai pronto. Oppure cerca di ritardarne la nascita con ogni pretesto. I film a Truffaut gli sono sempre appartenuti. Dei suoi se ne è impossessato. Quelli degli altri li ha rubati e fatti suoi già da quando era critico – ma già cineasta – ai “Cahiers du cinéma”. C’è un cordone ombelicale che ritarda il parto. “Non voglio stacchi”. La vita e il cinema diventano un unico piano-sequenza. La colonna sonora che si sta componendo è già un flash-forward. Poi si torna all’inizio, alla luce magica delle riprese, intervallata da un’altra foto (rubata?), quella delle sorelle Lillian e Dorothy Gish a cui Effetto notte è dedicato, definite da Truffaut come “le prime due attrici del cinema”.

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No, non ci sono più Henri-Pierre Roché (Jules e Jim, Le due inglesi), David Goodis (Tirate sul pianista), Ray Bradbury (Fahrenheit 451), William Irish (La sposa in nero, La mia droga si chiama Julie) come intermediari. Effetto notte è il romanzo dello stesso Truffaut. È lui che non ha più bisogno di nascondersi. La sua voce off può essere, finalmente, quella del narratore e del personaggio principale. Ma appena c’è la luce (del cinema) che Effetto notte diventa già una festa. Sono passati tre, quattro secondi. Si sentono il rumore del bus e delle voci in strada. Una donna dalla giacca rossa compra una rivista poi si dirige verso le scale di un sottopassaggio da cui compare Jean-Pierre Léaud che poi incrocia Jean-Pierre Aumont e gli dà uno schiaffo.

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Effetto notte

Truffaut/Ferrand entra in campo e dice: “Stop”. La scena si ferma davanti allo spettatore. Poi viene mostrata sotto un’altra angolazione, con il regista tra i due protagonisti. Non è vero che Effetto notte è l’atto d’amore di Truffaut nei confronti del cinema. Questo incipit del set di Vi presento Pamela è il cinema. Come materia, come ‘magnifica’ ossessione, come copia della vita. Anzi, è più bello della vita, è più spontaneo, è più vero: la signora che porta a passeggio il cane, i bambini con il palo del segnale stradale, la mamma con la carrozzina, l’auto rossa che attraversa la piazza, i negozi (il ristorante-bar e il coiffure per uomini e donne). Chissà da quanto il cineasta francese aveva pensato a un inizio così per un suo film? Oppure probabilmente già c’era in I 400 colpi, con Doinel/Léaud ancora quattordicenne, ma lo ha dovuto tagliare in fase di montaggio.

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Effetto notte

Forse Truffaut vorrebbe mostrare tutti i film mentre si stanno girando. Questa apertura non sembra avere niente di particolare. Non c’è teoria (sul cinema), non c’è nessuna dichiarazione dietro. È solo l’atto di filmare più naturale, più istintivo possibile. Il cinema di Truffaut non può vivere senza quelle comparse che lì, sulla piazza, hanno una loro vita propria. Tra attori e personaggi non c’è più distanza. Truffaut si innamora di loro fino a quando restano nel suo film. Poi li lascia una volta terminate le riprese. E con il film successivo comincia ancora un’altra intensa, passionale, breve, storia d’amore. Che si conclude ancora con un distacco doloroso, lacerante. “Non voglio stacchi”. Quella luce sulla piazza è l’ossigeno, come per Joseph von Sternberg. Attira, è ipnotica e acceca. Se si pensa a un film sul cinema, è il primo incipit che viene in mente. Ancora più di 8 ½. Il legame con il cinema è qualcosa di fisico. Conflittuale, tormentato, avvolgente. Quell’incipit potrebbe ridisegnare tutti quelli dei film che Truffaut ha girato sia prima che dopo.

 

 

Autore

Simone Emiliani

Direttore artistico di Valdarno Cinema Fedic, collabora con Sentieri Selvaggi, Film Tv, Cineforum e Filmcritica. Tra le varie pubblicazioni, i volumi Walter Hill (scritto con Mauro Gervasini, ed. Falsopiano), Dustin Hoffman (ed. Gremese) e Fughe da Hollywood, scritto con Carlo Altinier (ed. Le Mani).

Il film

locandina Effetto notte

Effetto notte

Commedia - Francia, Italia 1973 - durata 115’

Titolo originale: La nuit américaine

Regia: François Truffaut

Con François Truffaut, Jacqueline Bisset, Valentina Cortese, Jean-Pierre Léaud, Jean-Pierre Aumont, Dani

Al cinema: Uscita in Italia il 25/10/2021