Il cinema di Hal Hashby è molto camminato. Harold e Maude è tutto un girotondo, Shampoo una corsa, Questa terra è la mia terra e L’ultima corvé una lunga strada percorsa con le mani in tasca per il freddo o a pizzicare la chitarra. Di solito questo camminare è un segno sovversivo, un movimento itinerante - tra gli spazi, i generi, tra le storie e nella Storia – esteso come un contradditorio, un’ultima obiezione di coscienza, fino alla fine del film, oltre le regole della narrazione, convenzionali le loro chiusure, limiti, confini. A volte però è un gesto pienamente tragico, di denuncia – come nel caso di Tornando a casa, dove corrisponde a una possibile disintegrazione dell’identità, una cancellazione del sé – oppure di grande ambiguità, anche politica. Il finale di Oltre il giardino rientra in quest’ultimo caso.

Nelle ultime scene del film, il personaggio interpretato da Peter Sellers, Mr Chance (giardiniere analfabeta, ma conosciuto nel mondo come Chauncey Gardiner, intellettuale avanguardista poliglotta, uomo senza passato, idolo delle donne, nuovo volto della politica economica americana), si allontana dal funerale di Benjamin Rand, il tycoon della finanza. Del tutto disinteressato alla funzione, a lui probabilmente incomprensibile, Chance deambula in solitudine lungo la riva del laghetto della tenuta Rand, solito completo elegante, ombrello chiuso in una mano.

Nel mentre il Presidente declama l’eulogia funebre per Rand e un gruppo di amici del defunto porta la bara di fronte a quella che si rivela una piramide massonica: preparano le prossime mosse, complottano, concordano che Chance, volto pacifico benedetto dal loro capo, sarà perfetto per la presidenza. Chance è del tutto ignaro del suo futuro politico. Al momento è preoccupato dallo stato di un albero nel mezzo del laghetto, quindi si addentra nell’acqua.

Non sa che dovrebbe sprofondare, e infatti cammina con nonchalance sulla superficie del lago. In lontananza riecheggia una citazione di Rand: “Da piccolo, mi avevano detto che siamo stati fatti a immagine e somiglianza di Dio. È allora che ho deciso di fabbricare specchi. Sicurezza. Tranquillità. Un meritato riposo. Tutti gli obiettivi che ho perseguito presto saranno realizzati. La vita è uno stato mentale”.

Nel ‘79, Hashby dovette lottare e insistere per filmare questo finale, tanto distante dal romanzo di Kosinski all’origine del film, quanto diverso da quello presente sceneggiatura di Jones (anch’esso girato, ma alla fine scartato), osteggiato dalla produzione - e anche dall’attrice principale Shirley MacLaine - perché pericolosamente astratto e incomprensibilmente slegato dalla storia. Oggi la letteratura critica a riguardo si concentra principalmente su questo aspetto, evidenziando come nel disaccordo tra le maestranze - Sellers amava l’idea, fu lui a improvvisare, al terzo take, l’immersione dell’ombrello nel lago per intensificare lo straniamento - si potesse già intuire l’inizio dei problemi produttivi che avrebbero poi piegato la carriera di Hashby, e forse anche la fine dell’autorialità che per un certo periodo girava liberamente nella New Hollywood.

Quarant’anni e passa dopo, è possibile dire che avevano ragione attore e regista – i primi, non a caso, a voler fortemente adattare la satira di Kosinski, ed eventualmente anche a raffinarne il didascalismo antiestablishment. Non solo perché il finale previsto – in cui Chance è raggiunto da Eve, appena diventata vedova di Rand, in un abbraccio consolatorio – sarebbe stato troppo conciliante.

Ma soprattutto perché nell’immagine, apparentemente surrealista (con echi magrittiani) di Chance, sospeso sullo specchio d’acqua, era possibile vedere la definitiva allegoria della trasformazione genetica che negli annunciati anni ’80 avrebbe portato la realtà americana oltre ogni compromesso razionale, ogni principio di realtà, ogni legge del mercato: quel neoliberismo, pronto a esplodere come paradossale ribaltamento, grottesca realizzazione, dell’immaginazione al potere che quindici anni prima sembrava annunciare la possibilità di un’alternativa.

Occorre guardare bene questo finale che tanti hanno interpretato in senso favolistico, e ricordarsi che Hashby faceva vera teoria del dissenso culturale attraverso le immagini. “Tutti gli obiettivi che ho perseguito saranno presto realizzati” declama Rand post-mortem attraverso la voce insicura di un presidente che gli oscuri manipolatori massoni pianificano già di destituire, ed ecco che, nell’eco di queste parole profetiche, l’idiotico protagonista si rivela non tanto un cristico Walden per il nuovo millennio, capace di mostrare il valore delle piccole cose alla società dei consumi, quanto il simbolo definitivo del vuoto, della leggerezza senza peso.

D’altra parte, è proprio questo che avvince la classe politica di Washington DC, sempre più in ascolto delle parole e dei modi del misterioso Chauncey Gardiner: l’esoterismo delle parole, il suo linguaggio metaforico, segreto e allo stesso tempo famigliare, innocuo ma anche sensuale e allusivo. Linguaggio simile al suo volto, placido e neutro, infinitamente interpretabile, infinitamente modificabile, come una gomma o meglio uno specchio capace di rimandare indietro l’immagine desiderata, maschera perfetta per nascondere le macchinazioni sempre più esoteriche della politica – quarant’anni prima di qualsiasi pamphlet in salsa Lanthimos o delle opache strategie di marketing di Taylor Swift.

Linguaggio del sempre identico, della superficie pura, del simulacro. Linguaggio nato, not by chance, dalla televisione: medium reaganiano per eccellenza, a profusione presente a tutto schermo tra le inquadrature come nuovo paradigma di una realtà “che non è più lì ma allo stesso tempo è qui”; principio assoluto, unica fonte di vita e sapere, genitore, educatore e ispiratore di questa sincerità pura, bambina e aliena, caduta sulla terra sulle note dello Zarathustra kubrickiano senza alcuna nozione di mondo e quindi pronta a sovvertirne le regole, un nuovo canale alla volta. Probabilmente senza più camminare.
Il film
Oltre il giardino
Drammatico - USA 1979 - durata 128’
Titolo originale: Being There
Regia: Hal Ashby
Con Peter Sellers, Shirley MacLaine, Melvin Douglas, Jack Warden
in streaming: su Apple TV Amazon Video Timvision Google Play Movies Rakuten TV
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