Se c’è un tratto che sembra unificare il cinema, così arrogantemente (in senso positivo...) singolare e diversificato, di Brady Corbet è senz’altro la sua hybris. E The Brutalist si offre come la summa di questo desiderio di non lasciarsi limitare dalla riduzione in atto delle possibilità di sfida e di racconto del cinema nordamericano. Al di là infatti di ogni considerazione, non si può non ammirare l’olimpica determinazione di andare al di là di ogni suggerimento imposto dal buon senso produttivo attuale. Il produttore Jesse Ozeri, senza nessun filtro, mi confidava: «Questo film è il motivo per cui sono nato». È questo senso dell’impresa limite, che manca da troppo tempo nel cinema contemporaneo, a fare la forza di ogni singola scelta di regia di The Brutalist.

Una sintonia assoluta con il soggetto stesso del film, dare forma e corpo all’indicibile per portare sulla superficie delle cose il trauma e i suoi rimossi. Nel mettere in scena la storia di László Tóth (sinistra omonimia con l’autore dello sfregio alla Pietà di Michelangelo) Corbet crea un inquietante oggetto che assomiglia a “una storia vera” ma non lo è. Anzi: perversamente sembra diventare tale nel corso della sua fluviale durata. The Brutalist - come progetto estetico - pare volere ambire a sembrare vero, assumere su di sé le stimmate delle possibilità del vero, e di conseguenza tenta anche di assumere le conseguenze produttive ed economiche di tale decisione (e, probabilmente, la risoluzione del formato 70 mm VistaVision). Proprio come l’architetto del film che tenta - con le sue sculture - di modificare il principio di percezione del mondo attraverso una “mostruosità” dichiarata come tale ma presentata come “arte”.

Come un processo di partenogenesi cronenberghiana, escludendo la matrice biologica, The Brutalist mette in scena una “rabbia della forma” assecondando un “metodo pericoloso” che permette a Tóth di muoversi come un ragno (spider) nella tela dei suoi fantasmi mentali. Non è un caso che il film si presenti con tunnel, antri, cave e spazi angusti, quasi a volere suggerire quest’urgenza di qualcosa che vuole uscire - come penetrando verso il fuori, in un moto che nella pulsione centrifuga anela già il movimento opposto. In questo senso The Brutalist è un film minimalista occultato nel gigantismo provocatorio della forma: un progetto eversivo inteso come discontinuazione del reale e della sua immagine. Corbet intende il racconto come documentazione del superamento della nozione di reale e del lavoro necessario per ottenere tale risultato scandaloso. Tutti gli sforzi di Tóth sono finalizzati alla destabilizzazione della committenza (il rapporto perverso che lo lega a Harrison Lee Van Buren) e della percezione (tout court) del mondo. In questo scontro, nel quale la creazione artistica rivendica il non essere conciliato, risiede - ovviamente - anche un autoritratto del regista, che si posiziona al di fuori della razionalità dominante, tentando di dare corpo a un luogo-narrazione alternativo, volutamente mostruoso.
Il film
The Brutalist
Drammatico - USA 2024 - durata 215’
Titolo originale: The Brutalist
Regia: Brady Corbet
Con Adrien Brody, Felicity Jones, Guy Pearce, Alessandro Nivola, Vanessa Kirby, Stacy Martin
Al cinema: Uscita in Italia il 06/02/2025
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